Quando piove, che sia pioggia a catinelle o impalpabile rugiada che gli adombra il casco, il Romano Quadratico Medio, versione centauro, assume un’espressione imbronciata, assorta e concentrata. Davanti a lui non si dipanano strade, incroci e piazze, ma fiumi, rapide e laghi. Si allaccia il casco con la stessa concentrazione con cui un nuotatore si allaccia la cuffia prima della gara. Accende il motore ed indugia un po’, magari sta ripassando a memoria tutte le curve o forse, più probabilmente, sta ripercorrendo la strada evitando mentalmente tutte le trappole micidiali quando piove. I tombini, quei simpatici cimeli del XX secolo, alcuni talmente lucidati dall’usura che ti ci puoi specchiare, si trasformeranno in viscide lastre di ghiaccio.
Se riuscite a mantenere l’equilibrio scrivete direttamente a Moira Orfei. I sampietrini, tanto cari ad una frangia dei nostri concittadini, testeranno questa volta non solo le sospensioni, con benefici effetti sulla circolazione sanguinea del centauro, ma anche la capacità di chiaroveggenza dello stesso. Eh, sì, perché per fermarsi in tempo sui sampietrini bisogna frenare mezz’ora prima, quindi o si hanno doti divinatorie o ci si deve rassegnare… a non frenare. Da questo deriva uno degli stili più classici di guida dei due ruote quando piove, quello restless, senza soste. Teoricamente è tutto molto semplice: una volta avviata la marcia il motociclista deve far sì di mantenere una velocità costante, spesso molto bassa, per evitare brusche accelerazioni o decelerazioni che stressano la precaria aderenza del mezzo e lo rendono ingestibile. In pratica, nel traffico di Roma, questo porta i malcapitati adepti di questa teoria a muoversi come neopatentati, con picchi di 30-35km/h e drammatici momenti di angoscia esistenziale: semaforo rosso, mi fermo o provo a passare lo stesso? Normalmente prevale la logica e ci si ferma, ma non è raro vedere qualche temerario che prova a passare lo stesso, mantenendo sempre la bassissima velocità. Il botto è garantito. Certo anche in questi casi la pioggia cambia le cose. Uno scivolone con l’acqua si trasforma spesso in una lunga scivolata e, a meno di non trovare un camion o qualcosa di altrettanto solido ad accoglierci, spesso ci si risparmia anche le bruciature da sfregamento.
A complicare ulteriormente la vita dei due ruote c’è però anche il comportamento degli altri protagonisti della strada. I pedoni si mettono regolarmente a correre alle prime gocce d’acqua, quando tu sei in moto ed ancora non ti sei fermato a cambiarti, lotti con il mezzo che inizia a cambiare comportamento e inizi ad imprecare contro Giove Pluvio mentre provi a sbirciare tra le prime gocce sulla visiera o sul parabrezza, regolarmente appannati. Attraversano all’improvviso, magari con la testa in un cappuccio alla Messner, con zero visibilità laterale. Si buttano sotto un riparo non curandosi degli ostacoli fra loro e l’agognata salvezza. Si calcano l’ombrello fin sotto le spalle, trasformandosi in ombrelli con le gambe… e niente cervello. Insomma si comportano come se invece di acqua piovesse acido fosforico.
Gli automobilisti, invece, si beano di essere al caldo, nella propria auto, avvolti da una sottile appannatura dei vetri, isolati dalla visibilità ridotta, dai rumori attutiti, dagli specchietti laterali inservibili… in tanta beatitudine come non dimenticarsi che esiste un mondo là fuori dove dei pazzi hanno la pretesa di dividere la strada con loro? Ed ecco quindi zigzagamenti, svolte senza freccia e frenate improvvise che costringono ad acrobazie, magari proprio sui sampietrini.
Insomma portare la moto con la pioggia a Roma è un’esperienza, quasi un’iniziazione, ma vale la pena, come sempre, perché dà la possibilità di vedere la città da un punto di vista differente. Basta evitare tombini, buche, sampietrini, strisce pedonali, macchie d’olio, fango da lavori, brecciolino e, soprattutto, di perdere la pazienza. E poi, volete mettere quanti aneddoti si potranno raccontare a cena con gli amici?