L’endometriosi costituisce, senza alcun dubbio, uno dei più grandi capitoli della ginecologia. La patologia non ha preferenze etniche o geografiche ed è “caratterizzata da forme eterogenee nella loro storia naturale e nella loro evoluzione clinica”. E la diagnosi preventiva dell’endometriosi risulta fondamentale per preservare il benessere psico-fisico della donna e la sua capacità riproduttiva.
In questo terzo incontro il Professor Emilio Piccione, Direttore U.O.C. Ginecologia – Dipartimento di Chirurgia – Policlinico di Tor Vergata, ha analizzato l’aspetto diagnostico dell’endometriosi, offrendo una vasta panoramica della sua complessità.
Professor Piccione, si può affermare che nell’endometriosi è importante la diagnosi precoce?
E’ molto importante, in particolare nel caso dell’endometriosi pelvica, per cogliere la patologia già nei suoi stadi iniziali e, quindi, prevenire estensioni e diffusioni della stessa patologia endometriosica che possono comportare, oltre che l’instaurarsi di sintomatologia dolorosa pelvica e/o condizioni di infertilità, anche, da un lato, interventi demolitivi sull’apparato genitale (soprattutto a carico delle ovaie) e, dall’altro, interventi sull’apparato intestinale o urinario a causa dell’interessamento endometriosico di questi organi, con conseguenti ripercussioni ben comprensibili sulla qualità di vita della donna.
Da cosa deriva specificamente il dolore nell’endometriosi?
I meccanismi fisiopatologici suggeriti per spiegare la genesi del dolore nell’endometriosi sono diversi: la dismissione di mediatori dell’infiammazione da parte degli impianti peritoneali; l’infiltrazione di fibre nervose in caso di lesioni profonde o di retrazioni fibrotiche; le aderenze viscero-viscerali o viscero-parietali; i sanguinamenti ciclici all’interno delle lesioni che determinano un aumento della tensione endotissutale; livelli peritoneali elevati di prostaglandine1, istamina2 e chinine3 che stimolano i nocicettori4. Non va, poi, trascurato il ruolo della risposta psicologica di tipo emotivo specie nel dolore pelvico cronico.
Professor Piccione, ci ha già accennato alla correlazione tra endometriosi e infertilità. In quale stadio della malattia si presenta?
Purtroppo l’endometriosi è responsabile del 25-50% di infertilità indipendentemente dallo stadio della patologia endometriosica.
Infatti, nei quadri severi di endometriosi l’ostruzione tubarica e le aderenze pelviche o gli endometriomi ovarici che alterano marcatamente i rapporti anatomici e limitano l’accesso delle fimbrie5 all’ovaio, rappresentano meccanismi universalmente riconosciuti di infertilità.
Tuttavia, i casi di marcata distorsione anatomica costituiscono soltanto una percentuale minore di tutti i casi di endometriosi che pervengono all’osservazione clinica. Il quadro clinico più comune è quello di una donna infertile affetta da endometriosi di grado minimo, lieve o moderato con nessuna o lieve alterazione anatomica per i quali è possibile ipotizzare una disfunzione del sistema immunitario secondario alla persistente attivazione di una risposta infiammatoria peritoneale macrofago-mediata.
Anche in questo caso la diagnosi tempestiva dell’endometriosi risulta fondamentale per preservare il benessere psico-fisico della donna e la sua capacità riproduttiva; ad oggi, tuttavia, come si evince da quanto riportato nella più recente letteratura scientifica, i tempi di diagnosi dalla prima comparsa dei sintomi restano ancora ingiustificatamente lunghi, richiedendo in alcuni casi anche anni. E questo perché, da un lato, la patologia è spesso asintomatica e, dall’altro, non viene sospettata dal medico sulla base della sintomatologia riferita dalla donna.
Che tipi di esami bisogna fare per diagnosticare l’endometriosi?
Va detto subito che la diagnosi di endometriosi deve avvenire in due tempi: innanzitutto la patologia deve essere considerata e, quindi, sospettata sulla base dei sintomi e degli esami diagnostici effettuati dalla donna; in un secondo tempo, in caso di presenza di probabili evidenze di patologia endometriosica, la diagnosi di certezza è posta alla laparoscopia e confermata dall’esame bioptico tissutale.
Professor Piccione, come arriva a sospettare la presenza della patologia endometriosica in una paziente?
Fondamentale ai fini diagnostici risulta la valutazione anamnestica, che deve essere la più approfondita possibile e prendere in considerazione non solo le caratteristiche del dolore, ma anche tutta una serie di altri sintomi generali e specifici di altri apparati ed organi.
L’esame obiettivo ginecologico può porre un importante sospetto della patologia endometriosica e deve prendere attentamente in esame elementi quali la posizione, la mobilità del collo uterino con eventuale dolorabilità alla mobilizzazione e la presenza di noduli cervicali; la presenza di una tumefazione annessiale6 mono o bilaterale, non mobile, di consistenza duro-elastica; posizione, morfologia e dimensioni del corpo uterino e sua dolorabilità alla mobilizzazione; la comparsa di dolorabilità alla palpazione del fornice vaginale posteriore e la presenza di piccole nodularità in caso di endometriosi del setto retto-vaginale e dei legamenti utero-sacrali.
La ripetizione della visita ginecologica in diverse fasi del ciclo può essere utile in quanto l’esame può essere più dirimente durante la fase mestruale.
E una volta fatte queste visite, che tipi di esami vengono eseguiti?
Il secondo step diagnostico è rappresentato da esami strumentali che rappresentano uno strumento diagnostico utile a confermare e meglio identificare il sospetto clinico.
L’ ecografia pelvica transvaginale può individuare e monitorizzare, con una sensibilità compresa tra il 45% e l’86% e una specificità del 90-100%, gli endometriomi ovarici di diametro maggiore di 10 mm, i cui aspetti più caratteristici si basano sul contenuto ipoecogeno fluido-denso, disomogeneo e con foci iperecogeni sulla parete. Può essere anche utile l’ecografia pelvica transvaginale per sospettare la presenza di endometriosi interna (adenomiosi). L’esame ecografico pelvico transvaginale può essere completato con l’ approccio transrettale per valutare lo spessore dei legamenti utero-sacrali e la presenza di infiltrazione del retto.
Completano l’iter diagnostico la Risonanza Magnetica della pelvi, che permette la caratterizzazione delle formazioni cistiche ovariche, delle lesioni profonde sottoperitoneali, dell’ispessimento del setto retto-vaginale, così come anche l’esistenza di un’endometriosi interna (adenomiosi), il clisma opaco a doppio contrasto e la retto-sigmoidoscopia, se si sospetta una lesione intestinale, la cistoscopia e l’urografia per evidenziare una localizzazione vescicale, una stenosi ureterale con conseguente idronefrosi in caso di lesioni periureterali.
La valutazione dell’estensione può essere fatta tramite un’indagine di tipo clinico, invece che tramite un intervento chirurgico?
La valutazione clinica richiede anche lo studio di markers sierici di cui il più diffusamente utilizzato è il CA 125, una glicoproteina di membrana ad alto peso molecolare, tuttavia poco specifico in quanto risulta aumentato negli stadi avanzati di malattia, soprattutto nei primi giorni del ciclo mestruale, ma anche in altre condizioni patologiche benigne e maligne, ginecologiche e non, quali annessite, pancreatite, gravidanza e carcinomi epiteliali. Infatti, la combinazione di dosaggio del CA 125 ed ecografia pelvica non ha mostrato un valore predittivo superiore rispetto alla sola ecografia.
Nonostante le attuali indagini diagnostiche per immagini consentano una stadiazione pre-operatoria dell’endometriosi abbastanza affidabile, tuttavia tali indagini mancano della risoluzione necessaria a visualizzare i piccoli impianti superficiali peritoneali e ovarici e non possono individuare la presenza ed estensione delle aderenze.
Per giungere a una diagnosi definitiva, quindi, si deve necessariamente procedere ad un intervento chirurgico?
Sì, allo stato attuale è così. La diagnosi definitiva è, infatti, basata sia sulla visualizzazione diretta delle lesioni all’esame laparoscopico o laparotomico, nel caso in cui sussistano controindicazioni all’approccio endoscopico, sia sull’esame istologico condotto sui prelievi bioptici, che permette di porre diagnosi di certezza.
Per formulare la diagnosi per mezzo della sola ispezione visiva è, tuttavia, necessario l’intervento di un ginecologo esperto che abbia familiarità con gli aspetti tipici e atipici e, quindi, multiformi della patologia e delle sedi pelviche dove la patologia stessa può svilupparsi e sia in grado di classificarne correttamente l’estensione sia in ambito genitale che extragenitale.
Come per tante altre patologia anche per l’endometriosi il Professor Emilio Piccine ha posto l’accento, alla fine di questo terzo incontro, sull’importanza dell’informazione e della prevenzione. “Sono, infatti, fondamentali le campagne informative, tramite i mezzi di comunicazione di massa, su questa patologia che rappresenta un problema sociale, in modo che ogni donna la cui qualità di vita risulti inficiata da sintomi sospetti per endometriosi, possa rivolgersi a strutture e personale altamente specializzato in grado di attuare quanto necessario da un lato per diagnosticare con certezza l’esistenza della patologia endometriosica e, dall’altro, per curare la patologia e migliorare la stessa qualità di vita della donna in ogni suo aspetto sia personale che lavorativo”.
Per capirne di più
1Prostaglandine: sono acidi ciclopentanoici derivati dall’ acido arachidonico, che rivestono un ruolo biologico importante come mediatori flogistici, mediatori dei processi derivanti dalle infiammazioni.
2Istamina: è un composto azotato coinvolto nei meccanismi digestivi, nella risposta infiammatoria e come neurotrasmettitore in diverse funzioni cerebrali.
3Chinine: quello delle chinine è un sistema poco caratterizzato di proteine del sangue, che svolge un ruolo nell’infiammazione, nel controllo della pressione arteriosa, nella coagulazione e nel dolore.
4Nocicettori: sono terminazioni di neuroni sensoriali, amieliniche che segnalano un danno tessutale e permettono di segnalare al cervello le sensazioni dolorose.
5Fimbrie: nell’anatomia femminile è l’ultima parte delle tube di Falloppio, si ritrova vicino all’infundibulo.
6Tumefazione annessiale: la presenza di una tumefazione annessiale è un reperto di frequente riscontro e richiede sempre un’indagine ecografia quale completamento diagnostico e una visita ginecologica per definirne la natura e l’origine.