La vita è un valore da difendere fin “dalle sue origini” con comportamenti e scelte concrete. I rischi connessi all’uso e all’abuso di alcol durante il periodo della gravidanza passa, oggi, più che mai, attraverso campagne di informazioni e di sensibilizzazione rivolte alle donne, alle loro famiglie e agli operatori sanitari, in particolare ginecologi e ostetriche. “Se aspetti un bambino l’alcol può attendere” è la campagna di informazione pensata dalla SIGO, Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia, e da Assobirra, Associazione degli Industriali della Birra e del Malto, e realizzata con l’aiuto “sul campo” dei ginecologi al fine di spiegare alle donne la pericolosità delle sindromi fetali alcol correlate. E il Professore Nicola Surico, Presidente della SIGO, ha dettagliatamente descritto perché “vale la pena” far aspettare l’alcol durante il periodo della gravidanza.
Professore Surico, perché la necessità di una campagna di informazione dal titolo “Se aspetti un bambino l’alcol può attendere”?
Il problema delle patologie fetali legate al consumo di alcol in gravidanza è ancora poco sentito in Italia, a differenza di quanto accade in altri paesi dove da tempo si portano avanti iniziative di sensibilizzazione che hanno fatto crescere la consapevolezza. È per tale motivo che la SIGO ha ritenuto opportuno investire in una campagna di informazione ad hoc che ha ricevuto l’apprezzamento e il sostegno del Ministero della Salute.
Qual è l’obiettivo della campagna?
“Se aspetti un bambino l’alcol può attendere” si pone l’obiettivo di informare le donne, tramite i ginecologi SIGO, sui rischi dell’uso e abuso di alcol in gravidanza e sulla possibilità di prevenire completamente le patologie fetali alcol correlate evitando semplicemente di bere durante i 9 mesi. La campagna fa parte del più ampio programma di prevenzione e sensibilizzazione “Guida tu la vita. Bevi responsabile”, che prevede interventi anche sui temi “alcol e guida” e “alcol e giovani” ed è sostenuta da Assobirra, l’Associazione degli Industriali della Birra e del Malto che riunisce le Aziende che producono e commercializzano birra in Italia.
Qual è il ruolo ricoperto dai ginecologi all’interno di questa campagna?
Il ginecologo è l’operatore sanitario che ha le maggiori opportunità di incontrare e parlare alla donna durante il periodo della gestazione e spesso anche prima, mentre programma la sua gravidanza. La donna ha fiducia in lui e lo considera il referente più autorevole riguardo la propria salute e quella del bambino che deve nascere. È a lui che una donna si rivolge quando si accinge ad affrontare il delicato periodo della gravidanza. Proprio il ginecologo, quindi, potrà dare i giusti chiarimenti e suggerimenti su come comportarsi anche rispetto al consumo di alcol durante la gestazione, spiegando i rischi. I ginecologi SIGO hanno ricevuto un kit informativo comprendente un opuscolo divulgativo, un CD-ROM con la letteratura scientifica più recente sull’argomento e un poster con un messaggio educativo rivolto alle donne.
Quali sono i rischi per il feto usando e abusando di alcol in gravidanza?
L’assunzione di alcol in gravidanza può determinare l’insorgenza di patologie neonatali ad espressione e gravità variabile. Esse sono definite come:
FAS (Fetal Alcohol Syndrome), sindrome fetale alcolica: è caratterizzata da alterazioni somatiche del viso, da ritardi nello sviluppo psico-motorio e da danni al sistema nervoso centrale. È una delle poche cause accertate di ritardo mentale: le persone affette da FAS possono manifestare, in epoca variabile nel corso della vita, problemi nell’apprendimento, nella memoria, nella capacità di attenzione, oltre a presentare deficit visivi ed olfattivi. I bambini affetti da FAS hanno pertanto problematiche di integrazione scolastica e possono presentare inabilità permanenti, che interessano e coinvolgono ogni aspetto della vita personale e di relazione;
FAE (Fetal Alcohol Effects), difetti alla nascita alcol correlati: il termine FAE è usato per descrivere problemi di apprendimento e cognitivi, senza avere tutte le caratteristiche tipiche della FAS. Tale termine è stato sostituito negli USA, dal 1996, dai termini ARBD e ARND, con cui si indicano bambini con problemi funzionali o mentali che presentano anche un’aumentata incidenza di patologie oculari, cardiache, renali, scheletriche.
FASD (Fetal Alcohol Spectrum Disorders), disordini collegati all’uso dell’alcol in gravidanza: è un termine generico che comprende una serie di disturbi che possono presentarsi in un individuo la cui madre ha bevuto alcol durante la gravidanza. Include deficit motori, di coordinamento fisico e mentale, con diminuzione della capacità di apprendimento e alterazioni comportamentali. Il termine FASD può includere tanto la FAS quanto altre circostanze in cui il bambino presenta solo alcuni, ma non tutti, i sintomi clinici della FAS.
Da cosa dipende la variabilità di “espressione” della patologia?
Fra i bambini nati da madri che bevono in modo eccessivo durante la gravidanza vengono riscontrate sia la FAE, sia la FASD, sia la più grave FAS. La variabilità dell’effetto dell’alcol sul feto è in rapporto sia a fattori genetici, sia a differenze nel metabolismo e nello stato di nutrizione della madre. La comunità scientifica internazionale concorda che il danno neonatale si realizza solo se la donna ha assunto alcol durante la gravidanza e che, l’astensione dal bere, protegge in maniera completa dal rischio di tali patologie.
Il rischio per il feto di contrarre patologie alcol collegate aumenta con l’aumentare della quantità di alcol assunta dalla donna durante la gravidanza? Esiste una “dose minima” di alcol che può essere, comunque, assunta?
È scientificamente accertato che il rischio aumenta con l’aumentare della dose di alcol bevuto, anche se non si hanno dati certi sull’entità del rischio in donne che bevono poco o in modo saltuario. Pertanto, allo stato attuale, non è possibile definire una dose di alcol che possa essere considerata completamente sicura. Inoltre, alcuni studi, indicano un’azione dannosa dell’alcol fin dai primi giorni dopo il concepimento, quando ancora la donna non sa di essere gravida.
Si possono prevenire queste patologie?
Nonostante sia da tempo nota e scientificamente accertata l’evidenza dei possibili effetti dannosi dell’alcol sul feto, l’incidenza di questo tipo di patologie nel mondo è in aumento. A ciò contribuisce probabilmente la mancanza di un’adeguata consapevolezza da parte dell’opinione pubblica e, spesso, anche della classe medica, che tende a sottovalutare questo problema associandolo unicamente all’assunzione di superalcolici o all’abuso di alcol. Prevenire le patologie fetali alcol correlate, attraverso la semplice adozione di un simbolo di avvertenza sulle etichette delle bevande alcoliche, non ha dato i risultati sperati nei Paesi dove questa pratica esiste già da alcuni anni. Si tratta, infatti, di un avvertimento (sintetizzato nel simbolo grafico di una donna con il pancione barrato) troppo generico, che rischia tra l’altro di non riuscire a raggiungere e sensibilizzare quelle donne che si trovano nel primissimo periodo di gestazione. Esiste pertanto un solo mezzo sicuro per prevenire le patologie fetali alcol correlate: evitare completamente l’uso di alcol in gravidanza. È quindi importante una vasta opera di educazione dell’opinione pubblica sull’importanza di questo problema. Ma è soprattutto indispensabile che i medici sensibilizzino in maniera adeguata le donne che sono già in gravidanza o che intendano iniziarla e, più in generale, tutte le donne in età fertile sessualmente attive affinché evitino l’uso di alcolici durante questo delicato periodo della loro vita.
Secondo lei, esistono dei “meccanismi” di intervento-sensibilizzazione più efficaci di altri?
I migliori risultati in termini di sensibilizzazione sono stati ottenuti in quei Paesi dove si è scelto di affrontare il problema alcol e gravidanza attraverso campagne di informazione articolate e complesse, realizzate in collaborazione con gli operatori sanitari. Il suggerimento di astenersi dal bere alcol ha infatti, la massima possibilità di essere recepito in maniera corretta se è trasmesso e mediato da una figura autorevole e competente qual è il ginecologo. Quest’ultimo, infatti, oltre a godere della fiducia della donna, è l’unico capace di conoscere la modalità migliore per affrontare l’argomento, in funzione della singola e personale relazione con ciascuna paziente. Il ruolo del medico quindi è centrale per orientare nelle giuste scelte comportamentali, anche in materia di alcol. Particolare attenzione andrebbe, inoltre, riservata alle fasce di popolazione più a rischio, come le donne alcoliste o le forti bevitrici. Si possono inoltre sensibilizzare anche i padri, spingendoli ad aiutare la futura madre ad astenersi dall’alcol, incoraggiandola a non bere alcol, facendole evitare le situazioni sociali che implicano il bere e non consumando alcol essi stessi. Oltre ai ginecologi e alla famiglia, hanno un ruolo importante anche gli altri operatori sanitari dedicati alle donne (ostetriche), ma possono avere un’influenza notevole anche la scuola, i servizi sociali e l’intera comunità.
Parliamo di numeri. Che incidenza percentuale ha l’uso di alcol sulle patologie neonatali? E l’Italia rispetto agli altri paesi europei come si pone?
Per fortuna le patologie legate al consumo di alcol in gravidanza, soprattutto la più grave, la FAS, non sembrano così diffuse. La loro incidenza è, quindi, relativamente bassa. Si calcola che in Europa la FAS colpisca in media 0,97 casi su 1.000 nati, con frequenza maggiore negli strati socio-economici bassi e socialmente emarginati. Il più difficoltoso accesso di tale popolazione alle cure mediche perinatali contribuisce, tuttavia, a rendere ancora più grave il problema. I dati epidemiologici, comunque, sono ancora insufficienti e appare difficile il confronto fra realtà differenti. Tuttavia bisogna anche riconoscere che il problema non è molto sentito e studiato, e i dati spesso sono poco comparabili. Un recente studio epidemiologico su FAS e FASD, effettuato nel Lazio da ricercatori dell’Università La Sapienza e dell’ISS in collaborazione con ricercatori americani di Albuquerque, New Mexico, ha riscontrato un’incidenza delle patologie neonatali alcol correlate relativamente più elevata rispetto alla media mondiale (3,7-7,4 su 1.000 nati), sollevando il dubbio che l’incidenza della sindrome nei paesi occidentali sia stata fino ad ora sottostimata. In ogni caso non bisogna abbassare la guardia su questo problema ed è necessario che in tutto il mondo se ne parli di più e meglio.
Se l’alcol ingerito da una donna in gravidanza attraversa facilmente la placenta e può interferire con lo sviluppo del feto che ha una bassissima tolleranza a questa sostanza, allora, esiste un solo mezzo sicuro per prevenire completamente e definitivamente le patologie fetali alcol correlate: evitare completamente di bere alcol durante il periodo della gravidanza.