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Istituto Regina Elena: i tumori ginecologici sono “cose di famiglia”

8_marzo_Regina_Elena_smallIl Centro Congressi Bastianelli all’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma è stato sede dell’iniziativa “L’immagine ritrovata: la centralità della qualità di vita della paziente oncologica”. L’evento è nato dal desiderio, da parte di medici, infermieri e psicologi, di spiegare, nel giorno della Festa delle , con un discorso a 360 gradi, dignitoso e umano, che esistono delle “istruzioni per l’uso” anche quando, per il sopraggiungere di un momento difficile, la diagnosi e la cura di una malattia oncologica, diventa persino difficile prendere il sole, fare una dieta o confrontarsi con la voglia di maternità o con il diritto al lavoro, quali bisogni e desideri comuni a tutte le donne.

Una giornata, quella dell’8 marzo, all’Istituto Regina Elena, caratterizzata dalla discussione di temi molto importanti non solo per la delle pazienti ma soprattutto per comprendere e affrontare,  un percorso, nella maggior parte dei casi, di prevenzione volto all’acquisizione di quella consapevolezza finalizzata al raggiungimento di una migliore qualità di vita. Le discussioni sono state trattate e supportate da un ricco laboratorio di immagini e da “storie vere” raccontate direttamente dalle paziente, presenti in sala, che hanno vissuto o stanno vivendo “l’iter” della malattia oncologica.

Il saluto iniziale di benvenuto per l’apertura dei lavori  del meeting è stato dato dal Professor Francesco Cognetti che ha voluto sottolineare che “questa è una giornata dedicata alle donne, soprattutto alle pazienti malate di tumore, e ai medici e alle dottoresse che seguono le nostre pazienti. Ma quello che mi piace sottolineare è che per quello che riguarda i tumori ginecologici, tumori alla mammella o alle ovaie, c’è stato un notevole progresso che ha consentito un miglioramento della sopravvivenza negli ultimi anni, più consistente nelle donne rispetto agli uomini. C’è da dire che questo progresso è stato importante, e sarebbe stato più tangibile e consistente se non ci fosse stato l’effetto nocivo del fumo. Comunque, rispetto alla diminuzione del tumore della mammella possiamo parlare di un 10% in meno registrato negli ultimi decenni. E non bisogna dimenticare che questi progressi nel settore ginecologico sono sicuramente derivativi di un maggior intervento anche a livello di screening rispetto a 10 anni fa.” E prima di concludere il suo intervento il Professor Cognetti ha voluto sottolineare l’importanza della prevenzione attraverso alcuni dati “per quello che riguarda il tumore alla mammella nel nostro Paese nel 2009 sono state, globalmente,  invitate 2 milioni e mezzo di donne a fare la mammografia periodica, con un 19% in più rispetto al periodo precedente. Di questi 2 milioni e mezzo di donne circa la metà hanno regolarmente eseguito gli esami. Intanto, è molto rilevante e  importante il dato degli inviti ripartiti tra Nord, Centro e Sud Italia. Il Nord ha registrato 1,4 milioni di donne invitate, mentre, Centro e Sud insieme hanno coperto 400 mila unità invitate.  E questo ci dice che bisogna fare ancora molto, molto di più.”

La Dottoressa Paola Muti, invece, propone di parlare anche delle donne prima che si ammalino e di come si può intervenite affinché ciò non accada. Illustra, quindi, un ampio progetto di prevenzione del tumore mammario rivolto alle donne in menopausa e svolto in collaborazione con l’Istituto Tumori di Milano e la regione Sicilia. L’obiettivo del “Progetto Tevere” è quello di comprendere se sia possibile intervenire sulla probabilità di sviluppare un tumore mammario attraverso la somministrazione di un farmaco, di diffuso utilizzo e di limitati effetti collaterali, chiamato metformina. La Dottoressa, infatti, spiega che “il progetto si basa su decenni di studi. Si è visto come in donne diabetiche il tumore al seno è più presente rispetto a donne non diabetiche. Se partiamo da uno studio coreano  è stato possibile vedere come nelle donne diabetiche o con una glicemia elevata si rilevava una maggiore predisposizione sia per il tumore alla mammella che per il tumore al pancreas e la stessa cosa riguardava anche gli uomini. Quello di cui vi parlo è uno studio in cui abbiamo  valutato l’incidenza dei tumori al seno in base alla glicemia presa, in questo caso, dieci anni primi, per vedere se donne con glicemia più elevata rispetto a donne appartenente alla stessa corte, con glicemia più bassa, si fossero ammalate di tumori al seno. E così potete vedere che le donne posizionate nel quarto quartile hanno sviluppato un rischio tre  volte superiore rispetto alle donne che si sono collocate nel primo quartile. Quindi, un esame facilissimo da fare ma che probabilmente nascondeva una sorta di complessità. Poi, nell’ambito della comunità scientifica ci si è chiesti se queste anomalie nel metabolismo del glucosio potevano avere qualcosa a che fare con i tumori. E come potete vedere anche da questo studio fatto dal gruppo di Toronto si legge che con l’aumento della glicemia si ha un aumento dei tumori e addirittura della mortalità.”

Quindi, si tratta di un progetto, come spiega la Dottoressa Muti, di  prevenzione primaria, ovvero si lavora su donne sane al fine  di evitare che si ammalino di tumore alla mammella. L’obiettivo secondario del progetto è quello di prevenire i  tumori del Colon. Proprio queste due neoplasie, al seno e al colon, hanno un fattore di rischio legato ad  uno stato di “iperinsulinemia” o di diabete latente.

A seguire, interviene la Dottoressa Savarese, che affronta l’argomento dal punto di vista eredo-familiare. Che cos’è il rischio eredo-familiare? E cosa può fare il test genetico? E poi, esistono delle strategie per la riduzione del rischio? Domande importanti a cui sicuramente in tanti, anche non malati, hanno cercato delle risposte, soprattutto quando in famiglia si è verificato un caso di malattia oncologica. “Nel modo occidentale circa 10 donne su 100 corrono il rischio di avere un tumore alla mammella, e per queste, il 20% ricorre come caso anche nell’ambito della famiglia, ma solo nel 10% ricorre con una frequenza che può essere considerata a incidenza eredo-familiare e per il 5-10% accade anche per il tumore dell’utero. Ci è accorti, così, che il tumore aveva delle caratteristiche eredo-familiari che nella maggior parte dei casi è determinato dalla mutazione di due geni, BRCA1 e BRCA2, e la mutazione di questi geni riguarda la mutazione solo di una delle eliche del DNA quindi non dà un danno definitivo e permanente. L’insorgenza di questi tumori di solito è molto precoce anche prima dei 40 anni. E c’è anche un incidenza dell’aumento dei tumori maschili alla mammella, perché anche gli uomini hanno una ghiandola mammaria quindi anche loro si possono ammalare.” E allora, perché avere una mutazione BRCA1 o BRCA2 aumenta il rischio? La Dottoressa risponde che “quando sull’elica del DNA c’è una mutazione, i geni BRCA1 e BRCA2 vanno e la riparano. Sono geni riparatori, sono geni che difendono la cellula dagli agenti esterni ma quando la mutazione è consistente, e che noi definiamo patogenetica, il gene non funziona più e quindi la cellula non riesce più a riparare il danno. Quindi, identificare dei soggetti che hanno delle caratteristiche ereditarie significa identificare degli individui che hanno quella particolare predisposizione  e quindi individui che possono correre il rischio di sviluppare il tumore.”  In tutto questo processo, come spiega la Dottoressa Savarese, è necessario che la persona venga affiancata da personale competente e specializzato, l’oncologo, il genetista, soprattutto attraverso un processo di comunicazione che associa le problematiche umane al rischio di sviluppare il tumore e che coinvolge l’individuo e la sua famiglia. Quindi, non l’individuo isolato nella sua “individualità” di essere umano ma l’individuo all’interno di una struttura familiare compatta e matura. Elemento, questo che è diventato, all’interno della manifestazione all’Istituto Regina Elena, il filo conduttore della giornata e del programma . Altri temi sono stati affrontati: “Cancro, fertilità e gravidanza”, “Come regolarsi per l’alimentazione durante la chemioterapia?” oppure “Il danno della pelle e dei capelli durante la chemioterapia”. Insomma, tutti temi che riportano il paziente al centro del  gruppo sociale di appartenenza, laddove la malattia, l’essere malato, non può diventare “agente isolante” ma  collante anche nella fase di prevenzione.

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