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Caritas: la cultura della solidarietà

caritas_logo_artSecondo l’Istat, i poveri in Italia sono 7.810.000. Un dato preoccupante, che traccia le ormai vaste dimensioni delle aree di disagio del nostro paese.
Il quadro, secondo il decimo rapporto della Caritas Italiana sulla povertà ed esclusione sociale, è in realtà ancora più grave, con un numero di poveri pari a 8.370.000. A questa cifra, va aggiunto un ulteriore 10%, circa 800.000 italiani, che risultano ‘impoveriti’.
Si tratta di una forma di povertà meno immediatamente riconoscibile rispetto ad esempio a chi vive per strada, ma non per questo meno grave.
‘E’ la vita di chi’, dice Mariateresa Conti, capo area mensa della Caritas di Roma, ‘pur avendo magari una pensione, deve scegliere tra mantenere la casa e mangiare, e allora viene alla nostra mensa …’

Signora Conti, il 2010 è stato l’anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Com’è la situazione a Roma?
Per quanto riguarda le mense la situazione non è cambiata quest’anno rispetto all’anno precedente.
 Il trend continua: alle nostre mense accedono circa 1000 persone al giorno, di cui un 40% sono italiani. L’età va dai 50 anni in su.

La Caritas ha recentemente corretto i dati Istat sulla povertà, che risulta essere ancora più grave di quanto dicono le statistiche.
Vuol dire che non conosciamo il problema nelle sue reali dimensioni?

Credo che il problema sia sotto gli occhi di tutti. Per quanto riguarda le statistiche, dipende molto dai criteri che si tengono in considerazione,è difficile dire quando siano giuste e quando siano sbagliate.
La cosa che possiamo dire è che la crisi incide pesantemente. Alle nostre mense arrivano famiglie che pur di mantenere una casa di proprietà, o addirittura in affitto, avendo una pensione minima cercano di risparmiare su quello che possono. Il pasto è uno di quegli aspetti che incide sul bilancio familiare e vengono a consumarlo qui, questo perché preferiscono mantenersi una casa loro. Perdere la casa significa perdere magari affitti vecchi che consentono loro di avere un’autonomia, e piuttosto che perdere la casa, preferiscono venire a consumare un pasto in mensa.
Essendo poi persone anziane è anche un momento di socializzazione. Si incontrano con altre persone, mangiano insieme, e questo è un altro aspetto del venire in mensa.
Credo che oggi, il problema, oltre che economico, sia anche un problema di rarefazione dei rapporti, delle relazioni. La povertà non è soltanto economica.

Il direttore della Caritas, Monsignor Enrico Feroci,  ha detto che ‘le povertà sono in realtà molte, non univoche nelle motivazioni, negli sviluppi, eppure tutte inquietanti nelle possibili conseguenze’.
Perché non possiamo più permetterci di girare la testa dall’altra parte?

Perché riguarda tutti. Se l’obiettivo di ciascuno è avere una vita serena e felice, è possibile nella misura in cui sereni e felici lo sono anche gli altri. E’ illusorio pensare di seguire il proprio benessere chiudendo gli occhi rispetto quello che ci succede intorno, perché prima o poi quest’illusione cade e ci si rende conto che si è soli e si sta male, quindi penso che il fatto di prendersi carico degli altri non sia semplicemente un atto altruistico, ma penso che sia un gesto che si fa per sé stessi.
Credo che se uno pensa a una pienezza del vivere non può prescindere dagli altri.

Si legge nel vostro sito web: ‘Ogni cambiamento è preceduto da un intenso cambiamento culturale. Per cambiare la è fondamentale dare un segnale anche piccolo che parte dall’individuo.’
In che modo ciascuno di noi può contribuire a fare la differenza?

Io credo sicuramente vivendo tutte le sue relazioni con quest’attenzione, nella propria quotidianità, facendo il proprio dovere al lavoro, facendo le cose al meglio, nella propria famiglia, con i propri vicini di casa, e poi facendo volontariato, magari proprio alla Caritas. Dando uno spazio del proprio tempo agli altri, dedicandosi agli altri anche con piccoli gesti.
Io credo che questo sia un modo per cercare tutti quanti di contribuire, ma mi riferisco alla quotidianità, perché credo che sia la cosa più difficile. Magari si dedica tempo agli altri e poi si rimane chiusi in sé stessi per le altre 23 ore …

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