Roma Tre propone il corso di cittadinanza. A colloquio con il professor Raimondo Michetti, docente all’università di Roma Tre, Facoltà di Lettere e Filosofia e tra gli organizzatori del CLIC, Corsi e laboratori interculturali per la cittadinanza.
In questo momento l’università è una istituzione culturale che segna e mostra evidenti segni di crisi e la necessità di una riqualificazione. Questa riforma di cui tutti parlano può passare anche per un nuovo rapporto tra università, società e problemi epocali che si verificano all’interno della globalizzazione. Tra i problemi più urgenti che interrogano i saperi contemporanei si colloca certamente quello del rapporto tra uomo e ambiente ma anche, fortemente connesso, quello delle migrazioni mondiali e la necessità di un nuovo concetto di cittadinanza che tenga conto delle politiche di integrazione. All’Università Roma Tre è nato un centro legato alla Facoltà di Lettere e Filosofia a cui fanno riferimento i docenti che afferiscono anche alle altre facoltà dell’ ateneo, denominato CLIC, anche per indicare positivamente un mondo che si apre alle istanze sollecitate da questa imponente trasmigrazione di uomini, saperi e merci che si occupa di corsi e laboratori interculturali per la cittadinanza.
L’Università, di fronte alle nuove sfide globali della modernità, prova a rivisitare i suoi saperi, le possibilità di aprirsi alla società attraverso le contraddizioni che vi sono. Il CLIC nello specifico si propone 4 obiettivi, che attengono in modo diverso al problema dell’appartenenza alla polis, ovvero alla comunità territoriale in cui si risiede. Si privilegia un concetto di cittadinanza non collegato allo ius sanguinis – cioè non si è cittadini perché si nasce in un posto – ma si è cittadini perché si vive, si lavora, si ama, si sta insieme con gli altri all’interno di uno stesso territorio attraverso un sistema di regole condivise. Quest’ultimo, che in diritto viene considerato lo ius loci, il diritto legato al territorio, presuppone una rivisitazione del concetto duttile di cittadinanza con riferimenti certi ed espliciti per tutti ma, nello stesso tempo in duttile e dinamica trasformazione.
Peraltro, senza andare troppo in dettaglio, nelle diverse civiltà del passato il concetto di cittadinanza ha avuto declinazione del tutto differenti: dalla polis greca, alla cittadinanza universale dell’impero romano, dai cives del comune medievale, e prima ancora il concetto di cittadinanza per i romani, che fino a le citoyen della Rivoluzione Francese i modi di intendere la cittadinanza (magistrale su questi temi la riflessione dello storico del diritto Pietro Costa) sono sempre cambiati a seconda delle nuove esigenze, contesti, conflitti tra forze e poteri in campo in questi contesti.
Quale tipo di cittadinanza è necessaria per la nostra epoca?
L’Università non ha la pretesa di dare soluzioni, ma si propone come alto punto di elaborazione tra le istanze del territorio e la loro trasformazione in saperi utili al bene della comunità e alla regolazione dei suoi conflitti: quel ‘bene comune’ su cui tanto hanno riflettuto filosofi, teologi e pensatori delle epoche passate.
Concretamente, noi come CLIC pensiamo di agire su quattro livelli.
Il primo livello riguarda il recupero di una dimensione di circolarità dei saperi tra università e scuole primarie e secondarie. Pur essendo consapevoli che anche la scuola materna ed elementare hanno bisogno fortemente di questo tipo di formazione, sappiamo che vi sono già esperienze molto positive già operanti, mentre i docenti che collaborano con noi ci segnalano un alto indice di dispersione scolastica da parte di figli di migranti proprio nell’età scolare media, inferiore e superiore. Spesso anche per l’urgenza di un inserimento nel mondo del lavoro, per le precarie condizioni economiche. Noi ci rivolgiamo in primis agli insegnanti. In accordo con un’associazione di docenti, ‘Proteo. Fare/Sapere’, che in questi anni ha dimostrato una grande attenzione proprio a questo tipo di formazione ma aperti anche ad accordi con altre associazioni di docenti, si è organizzato quest’anno primo seminario pionieristico per verificare insieme i saperi teorici che emergono all’interno dell’università su questioni inerenti alla cittadinanza e i saperi concreti che gli insegnanti verificano ed elaborano nel quotidiano delle loro classi. Più di trenta docenti del nostro ateneo, giuristi, storici, filosofi, antropologi, geografici, ecc, affronteranno in modo comparativo differenti tematiche: tra queste, per esemplificare, il passaggio da sudditi a cittadini secondo una prospettiva storica, filosofica e giuridica, il problema della religione e della laicità, ovvero la convivenza di più religioni nello spazio pubblico, scuola compresa, in un momento in cui l’Islam è la seconda religione nel nostro paese, il rapporto tra localismo e universalismo, la relazione tra identità e differenze anche al di là delle religioni, le questioni che sorgono per differenti relazioni di genere tra le culture di provenienza e quelle di arrivo.
Come si può fare? Come si è cittadini o cittadine?
Il primo livello rivolto agli insegnanti ha due obiettivi principali. Il primo è rompere quella dicotomia che si crea dopo la laurea tra persone formate all’università e professionisti che poi lavorano nel mondo della scuola. L’università è il luogo in cui i professori, un tempo studenti, si ritrovano nuovamente a lavorare insieme ai docenti universitari per riflettere sui contenuti e sulle metodologie culturali inerenti ai nuovi saperi.
Il secondo livello è rivolto direttamente ai nostri studenti universitari sul quale stiamo cominciando proprio ora a lavorare. Noi riteniamo che il concetto di cittadinanza non riguardi solo l’acquisizione giuridica della cittadinanza da parte di persone che vengono nel nostro paese per necessità di lavoro e chiedono di essere integrate all’interno del nostro territorio. Se cittadini non si nasce ma si diventa, i nostri studenti si devono porre il problema di cosa significhi oggi nella nostra società del XXI secolo diventare cittadini, ossia diritti, doveri, trasformazioni attive che li vedano come protagonisti del concetto e delle pratiche di cittadinanza. Nel concreto, siccome siamo per un’università che sappia coniugare saperi teorici e esperienze culturali e sociali sul campo, , i nostri studenti – grazie al sistema degli stages universitari – potranno essere attivi in esperienze professionalizzanti, relative alla mediazione culturale: l’aiuto per il rafforzamento dell’italiano per i figli di migranti nelle scuole pubbliche sul territorio, , il lavoro in associazioni culturali o istituzioni pubbliche che abbiano come scopo specifico quello della formazione alla cittadinanza ecc. Il tutto riconosciuto, secondo quanto prevede la normativa sugli stages universitari, all’interno del sistema dei crediti universitari, quindi come tappa del proprio percorso formativo, grazie a un accordo giuridico tra l’università e le istituzioni, la scuola o le associazioni.
Il terzo livello, già molto sperimentato sia dalle associazioni di volontariato che da alcune scuole presenti sul territorio, che per il momento è solamente un’ipotesi progettuale perché necessita di una serie di garanzie istituzionali e di finanziamenti, riguarderebbe proprio la formazione dei migranti stessi.
La possibilità di fare all’università dei corsi (modello 150 ore) che consentano al migrante una formazione di base della cittadinanza di valore giuridico non vincolante, ma formativo e culturale su pochi ma essenziali aspetti. I corsi di lingua italiana, innanzitutto, perché l’Università Roma Tre, accanto a quelle di Perugia e di Siena, è la terza università italiana con il privilegio e le competenze necessarie, grazie alla preziosa presenza di insigni linguisti, per l’ insegnamento del’italiano agli stranieri. Inoltre essa è situata all’interno di un tessuto urbanistico attraversato da flussi migratori importanti. Non solo i quartieri Ostiense, San Paolo e Marconi hanno una significativa presenza di cittadini asiatici e latinoamericani, ma si deve considerare l’enorme bacino di utenza di Ostia che è ormai divenuta una vera e propria città di migranti aspiranti cittadini.
Il secondo aspetto riguarda elementi di cultura giuridica che aiutino l’aspirante cittadino a capire quali sono i doveri e i diritti già esistenti nel nostro Paese, tanto dal punto di vista teorico quanto rispetto alle pratiche che possano agevolare il suo inserimento. Da una parte è necessaria una alfabetizzazione giuridica, per sapere come muoversi, per conoscere i propri diritti-doveri, rimanendo nell’alveo della legittimità. Dall’altra parte quali sono i margini di interpretazione delle leggi vigenti che possano venire incontro alle necessità, sovente drammatiche, che devono affrontare . Infine, il terzo essenziale livello comprende anche l’acquisizione di alcuni elementi di cultura comparata in cui avvenga un libero scambio tra le persone dei vari Paesi che si trovano a dover vivere secondo usi, modalità culturali, e norme comportamentali cos’ diversi da quelli dei paesi d’origine.
Proviamo ad immaginare classi in cui ci siano un cittadino del Bangladesh, uno cinese, uno africano, o comunque provenienti da continenti diversi. Deve essere chiaro che un confronto siffatto non intende privilegiare il nostro modello di vita come il migliore ma solo aiutare a riflettere sulle differenze dei sistemi culturali di partenza e di arrivo, favorire una comparazione e una relativizzazione che aiuti il ragionamento, senza la pretesa, nella riflessione culturale, differente è il livello giuridico, di un’egemonia culturale nostra. A tal fine si possono scegliere sia delle situazioni ad alto valore conflittuale (ad esempio le questioni di genere, ovvero le differenti modalità di relazione uomo-donna, spesso al centro di differenze inconciliabili). Si possono anche scegliere tematiche meno conflittuali, che favoriscano la comunicazione tra culture diverse, come ad es. i rituali di festa, oppure il confronto tra le diverse tradizioni gastronomiche.
Non necessariamente si pretenderà, qualora trovassimo su questo livello in conforto anche finanziario delle istituzioni pubbliche, di arrivare ad un punto di arrivo comune ma si vuole favorire da parte dei futuri cittadini una consapevolezza delle diversità di tipo culturale. Si ribadisce che questa consapevolezza non è legata solo ai migranti. Per questo i nostri studenti fanno essi stessi una esperienza di cittadinanza. E’ un problema di tutti. Non esistono migranti o italiani, esiste la polis in cui viviamo insieme.
Il quarto livello è più squisitamente peculiare alle prerogative e ai compiti istituzionali dell’università come luogo di elaborazione dei saperi, cioè un approfondimento epistemologico della questione della cittadinanza attraverso una riformulazione dei saperi tradizionali, in base alle nuove esigenze che il mercato globale e l’interazione culturale tra civiltà diverse, ci chiede di affrontare. Dunque, quello che già avviene con i colleghi docenti delle scuole primarie e secondarie, con i quali già ci confrontiamo su questi tempi, attraverso progetti europei collegati con altre università, con finanziamenti europei. La cittadinanza come straordinaria occasione di ridefinizione dei punti di contatto e di frizione del sapere giuridico, del sapere storico, filosofico, religioso, geografico, persino architettonico, in relazione alle forme di abitazione e di convivialità negli spazi, di tutto quanto viene sollecitato dalle trasformazioni in corso. La necessitò, in definitiva, che i saperi della tradizione, sappiano coniugarsi con le nuove sfide che siamo costretti ad affrontare uscendone, come è sempre accaduto e come è essenziale per la vita delle civiltà, trasformati. La vera sfida è quindi sapere lavorare su questo terreno senza aspettare che i conflitti impongano la loro agenda. Tra una società irenica, in cui tutti vanno d’accordo con tutti naturaliter e l’incombere di una società razzista ed egoista, di cui l’ingovernabilità dei recenti eventi calabresi è preoccupante sintomo, scegliamo la strada di una società in cui i conflitti avvengono e nella quale la cultura gioca un ruolo essenziale per la loro mediazione regolamentazione. Al centro delle nostre riflessioni è proprio questa terza prospettiva.