… e gli studenti? Salute, prospettive e consigli per l’università. Nell’intervista a Pietro Salvini, Professore Ordinario di Costruzione di Macchine, docente alla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma “Tor Vergata”.
Assistiamo a grandi cambiamenti nell’Università. Secondo lei, come si pone questa istituzione di fronte alla sua nuova struttura? Quali mosse muove per agevolare gli studenti verso il mondo del lavoro?
L’Università sta passando attraverso un periodo travagliato. Negli ultimi anni si sono susseguite varie mode. All’inizio del 2000 il mondo universitario si esaltava nell’inseguimento del mondo lavorativo. A tal fine sono stati introdotti corsi di laurea molto specifici. Ogni corso collegato ad un ramo o settore ben definito. Cio’ ha creato una proliferazione di corsi universitari, anche piuttosto ‘esotici’. Il risultato? Un’esplosione di corsi di tutti i tipi e un’offerta estremamente varia. Adesso assistiamo ad una veloce marcia indietro e si proclamano tagli, riducendo in modo drastico tutti i corsi in quanto troppo costosi e inutili.
Forse potevamo capirlo prima? Sarebbe utile un’analisi storica da parte dei docenti interessati, per capire profondamente perché il mondo accademico venga così soggiogato dalle ‘mode’. Tutto ciò crea sbilanciamento e disorientamento, ahimè, tra i giovani… cioè i veri fruitori dell’università.
Molti ragazzi hanno intrapreso studi specifici sperando che cio’ li collegasse agilmente al mondo del lavoro, il quale dimostra di muoversi con tempi più veloce di quelli della formazione. E così dal momento che si iniziano gli studi a quando si arriva alla laurea, il mondo del lavoro si è già evoluto talmente da distaccare i percorsi di studio per cui ci si è specializzati.
Una beffa?
No, ma è velleitario pensare di formare compiutamente e integralmente uno studente all’ingresso nel lavoro. E’ più opportuno assicurare agli studenti una preparazione adatta ad ‘autoformarsi’, ad aggiornarsi e a crescere continuamente.
L’Università deve in qualche modo riflettere e tornare al passato. Quali gli strumenti che dobbiamo offrire ai giovani per proiettarsi verso un proficuo ingresso nel mondo lavorativo?
Sì, paradossalmente possiamo affermare che serve dare uno sguardo indietro. Soprattutto bisogna insegnare le basi con vigore per garantire agli studenti il modo e il metodo per l’apprendimento. Chi studia deve poter capire la profondità degli argomenti che vengono trattati; essendo così in grado di accogliere tutte le novità inerenti i propri campi di attività e i metodi più appropriati e moderni per poterne fruire. Per poter applicare la teoria nella pratica.
Oggi, lo sviluppo informatico e i mezzi di comunicazione impattano sulla formazione?
Inevitabilmente. Ciò comporta aspetti positivi e negativi. I positivi tuttavia prevalgono sui negativi. Qualunque quesito o dubbio ha la possibilità di essere esaudito in pochissimi secondi. Grazie a Internet basta una ricerca appropriata e si ottiene la soluzione cercata. Gli svantaggi sono connessi al rischio di diventare schiavi di questo sistema. Si rischia di tralasciare quella cultura e formazione di base che è il tesoro di una mente! La testa risulta così solo un’appendice bisognosa di una struttura informatica portante.
E come vede tale impatto nei suoi corsi di costruzione di macchine?
Ad esempio, i miei studenti chiedono sempre di conoscere pacchetti operativi di calcolo. Per me è un po’ deludente questo approccio al problema. I pacchetti fanno sì che la soluzione venga demandata ad un ‘solutore’ che esegue istruzioni pensate da altri, rinunciando così al proprio ragionamento.
Gli studenti dovrebbero essere in grado di affrontare il problema prendendo carta e penna ed eseguendo calcoli. Non importa solo risolvere lo specifico problema, ma avere in testa un procedimento in grado di ‘sbrogliare’ equazioni differenziali o problemi di notevole complessità numerica riducendoli a soluzioni semplificate ma significanti. Va sempre effettuato un ragionamento logico per seguire passo passo cosa si sta portando avanti. E’ fondamentale perciò tornare al discorso della buona base teorica.
Quando gli studenti le chiedono di insegnare un particolare pacchetto di calcolo, fornisce una spiegazione? Qual è il messaggio che lei cerca di trasmettere?
Certamente. Spiego loro che il ‘pacchetto’ è un modo di non far viaggiare il cervello su un binario già tracciato e non è altro che uno strumento operativo. Nei corsi accademici si deve sapere e potere insegnare la base, per fornire poi il piacere di trovare gli strumenti!
E cito la parola ‘piacere’ proprio perchè lo studio universitario deve essere un piacere. Non si deve studiare solo per avere una buona riuscita, pur se è logico che un po’ di attenzione verso il futuro vada posta.
Chiaramente è più facile per il figlio di un libraio fare il bibliotecario o il letterato, piuttosto che per il figlio di un dentista. Si è inclini a seguire le tradizioni e le familiarità delle proprie origini, visto che se ne respira l’atmosfera fin da bambini. Ma se c’è una materia o una tipologia di studi che appassiona davvero, si deve assolutamente seguire quel filo. Quei cinque anni universitari ci porteranno ad una laurea ottenuta grazie al piacere di avere inseguito le nostre inclinazioni. E’ quel piacere che spiana la strada avanti a noi e che smonta il timore verso il necessario aggiornamento ….la battaglia è vinta in partenza.
Vuole fornire un suggerimento complessivo agli studenti?
Mi sento di consigliare a voi ragazzi di formarvi in modo ampio, perchè a specializzarsi c’è sempre tempo! Il vostro studio sarà più solido e quello che avrete studiato all’università sarà valido ed efficace per tutto l’arco lavorativo, quindi almeno per una trentina d’anni. La valenza sarà universale e non vincolata a un’unica tecnologia che potrebbe essere soppiantata. Più la vostra preparazione di base sarà profonda e più sarete curiosi; questa curiosità è un combustibile per il cervello.