La musica oggi ci segue ovunque, è un liquido che riempie ogni interstizio del nostro quotidiano. E’ il soave e perenne sottofondo della nostra vita. Non c’è più un “posto adatto o non adatto” alla musica, lei è onnipresente. Grazie alle nuove tecnologie possiamo portarci in tasca intere discoteche; ascoltiamo musica in casa, in macchina, in metropolitana, in ufficio, nei bar, nei ristoranti, nelle sale d’attesa. Squilla incessantemente sui nostri telefonini l’ultima hit del nostro cantante preferito e ci deliziamo delle nostre suonerie.
Quest’apparente ubiquità sonora sembra casuale ma, in realtà, c’è chi pensa a come e dove “collocare” la musica, a come confezionarla e a come diffonderla. Tutti gli attori di questo settore mettono a punto vere e proprie strategie di comunicazione e tattiche di vendita.
Ma chi sono i protagonisti di questo processo produttivo, chi sono i professionisti della filiera delle note e chi c’è dietro ad un artista? Un intero mondo “occulto” lavora senza tregua, di giorno e di notte, a Ferragosto e a Natale, con il sole, ghiaccio, acqua e neve. Sempre. E’ l’industria musicale.
L’industria musicale ha un’anima sempre in ebollizione: l’artista che, catturando le emozioni di un istante, scrive, compone, interpreta. L’artista si avvale della collaborazione di uno staff composto dal manager che lo segue fianco a fianco, sviluppa strategicamente la sua carriera, lo consiglia, lo solleva da incombenze organizzative permettendogli così di dedicarsi esclusivamente alla sua creatività, procura e negozia ingaggi; dall’assistente personale che è una persona di sua fiducia che soddisfa le sue esigenze pratiche e quotidiane; dall’ufficio legale/finanziario che cura i suoi interessi e, infine, dall’ufficio stampa che intrattiene relazioni con i media. Lo staff sostiene l’artista in ciascuna fase della “routine produttiva” composta scrittura, registrazione, performance e promozione.
Cosa succede dopo che è avvenuta la scrittura di un brano?
La fase due ha inizio: la registrazione. Protagonista di questo delicato compito è il produttore artistico ovvero colui che dirige la realizzazione di un brano o di un album, cerca e sceglie strumenti, musicisti, ingegneri del suono etc., è responsabile degli arrangiamenti, insomma, trasforma in realtà il suono che ronza nella testa dell’artista.
Se l’anima dell’industria delle note è l’artista, il cuore è la casa discografica che realizza materialmente il disco e, a volte, lo distribuisce e lo promuove. Oggi il 75% del mercato mondiale musicale è controllato dalle major (Sony/BMG, Warner, Universal, EMI), aziende legate a multinazionali, mentre, la restante parte del mercato è gestita da molte etichette indipendenti “indies” che auto-producono i loro prodotti e, pur occupandosi di nicchie di mercato, sono molto vivaci e scovano spesso ottimi talenti.
L’espressione massima della fisicità dell’artista ha luogo durante la performance art, il live, il Tour. Durante questa fase scendono in campo: i promoter nazionali che vendono le date dei concerti ai promoter locali che pensano al booking e il tour manager che, insieme a organizzazioni locali, provvede alla logistica, ai trasporti, agli allestimenti, al palco, alle luci e alla fonia.
Nella fase della promozione, un posto d’eccellenza spetta alla radio che è anche il mezzo su cui puntano di più le industrie per lanciare un artista e il suo lavoro; infatti, prima della pubblicazione commerciale di un CD, un paio dei brani più “radiofonici” sono lanciati on the air per creare la cosiddetta “attesa”.
Anche in televisione e sui giornali si fa promozione a un disco mediante ospitate, interviste, videoclip, articoli e recensioni su stampa generalista o di settore.
Sul trono della discografia italiana siede Milano; nella city sembrerebbe più facile realizzare progetti musicali ma esistono altre realtà, come ad esempio quella romana, che sono molto dinamiche e creative.
Ed ecco qualche istantanea sul panorama romano.
In tema di major da ricordare la storica etichetta RCA, che visse un ventennio d’oro tra gli anni ’60 e ‘70 sotto la guida dei famigerati Melis e Ornato. Dalla sua sede romana, in via di S. Alessandro zona Tiburtina, ospitò e lanciò molti artisti come Fabrizio De Andrè, Rita Pavone, Gianni Morandi, i Rokes, Mal, Patty Pravo, Lucio Dalla e molti altri. Nei pressi della RCA prese vita il celebre Cenacolo, un vero “salotto musicale”, rendez-vous per artisti emergenti che può fregiarsi di aver dato i natali artistici a Nada, Claudio Baglioni, Francesco De Gregori, Antonello Venditti e Renato Zero. Negli anni ’80 Melis lascia l’azienda, Ornato muore e nel 1986, anno di crisi totale, l’azienda fu ceduta alla BMG. Questa cessione chiude definitivamente le pagine di un libro glorioso della discografia italiana.
Tra le indies abbiamo ad esempio HELIKONIA, sita all’Acquedotto Alessandrino, concentrata sulla produzione di colonne sonore per il cinema ma non solo. Oggi tratta musica pop/Rock sotto l’etichetta PHONE’, musica etno/world sotto la ROUTES, il jazz con MOOD e le co-produzioni e servizi musicali con FACTORY.
Da non dimenticare le radio presenti nella capitale. RDS, per citarne una, è nata alla fine degli anni ’70. Oggi è un network nazionale cui fanno capo anche Dimensione Suono, Dimensione Suono Roma e Ram Power.
Molte le voci storiche che ci hanno raccontato la musica dalle cabine speaker di RDS: Faber Cucchetti, Manuela Doriani e Anna Pettinelli, tuttora presente on the air. RDS è tra le prime emittenti italiane per ascolti e programmazione, ospiti d’onore e show case.
Anche in tema di organizzazione di spettacoli Roma non si smentisce. Un nome su tutti: David Zard, l’uomo che ha avuto l’ardire di portare in Italia il Rock. Figura, quasi mitologica “1/2 uomo e 1/2 backstage”, che ha organizzato i più grandi eventi della Penisola. Amante del rischio vince scommesse a dir poco impossibili e fa centro: porta l’opera musicale in vetta alle classifiche, sia per vendite sia per presenze, con Notre Dame di Paris di Riccardo Cocciante, Tosca Amore Disperato di Lucio Dalla, Dracula opera Rock della PFM e Pia come la Canto Io di Gianna Nannini, di nuovo in scena in tutt’Italia nel 2010.
E’ innegabile, la musica è una forma d’arte autentica che evoca emozioni indelebili e il suo valore è inestimabile, ma è anche economia. E’ una notevole risorsa produttiva per il Paese e fonte d’attrazione per il turismo e per gli investimenti.
Ma allora perché questo settore non segue modelli gestionali “classici” e sembra avvolto da un fumoso e impenetrabile perimetro soggetto a regole volubili? Perché le nostre Star, che non hanno nulla da invidiare a Star internazionali, spesso, non riescono a varcare i confini nazionali e invece in Italia importiamo di tutto?
Osservando attentamente lo show-biz si riconoscono caratteristiche endogene ed esogene dissimili da altri settori produttivi, pertanto a questi non assimilabili, che lo rendono più debole di altri comparti. Ad esempio: irrazionalità e volatilità della domanda musicale, “prodotto” che non è un prodotto ma una creazione artistica, costi alti e certi ma ricavi incerti, scarsissimi fondi pubblici.
Inoltre, l’accesso ai canali istituzionali di spettacolo è complesso e farraginoso, poche sono le sponsorizzazioni, esigua è la letteratura aziendale. Per di più, scarso è il turn-over delle risorse umane e, infine, eccessiva è la dipendenza di questo comparto da altri settori industriali.
E poi ci sono gli artisti, i nostri Artisti, che fanno una fatica colossale ad affermare se stessi e la loro identità musicale. Sono ancora pochi i contesti d’esibizione “ufficiali” e pochissime e, a volte, invisibili o inaccessibili le porte a cui bussare per farsi notare.
Quindi, se è vero che la maggior parte degli operatori lavora con una gestione “chiusa” a natura familiare e corporativa, è anche vero che ciò non dipende esclusivamente da una loro scelta ma anche da un sistema economico sociale che impedisce a tali aziende di assumere modelli gestionali “tradizionali” motivo per cui questo mercato è poco frequentato e “contaminato” dal “management industriale”.
E allora se le contaminazioni creano eccellenze, e nella musica è proprio così, allora perché non contaminare anche la gestione manageriale della musica?
La mia matrice economica e la mia passione per la musica sognano un connubio sublime tra arte ed economia.
Immagino un futuro in cui in cui la musica e i suoi protagonisti assumano un ruolo centrale nel nostro Paese e nella nostra città e una nostra maggiore presenza e visibilità a livello internazionale.
Come si fa a realizzare questo sogno?
Compro il biglietto per un mondo fantastico e trasfiguro la realtà e provo a migliorarla.
Immagino fattibile introdurre maggiori stanziamenti pubblici, migliorare il trattamento fiscale per le imprese del settore, migliorare le agevolazioni fiscali per le sponsorizzazioni culturali.
Trovo percorribile l’ipotesi di semplificare l’accesso ai canali istituzionali che autorizzano e che gestiscono lo spettacolo e finanziare la formazione pubblica per music manager.
Penso a una scuola piena di musica per sviluppare una maggiore sensibilità artistica, la nascita di nuovi talenti e, perché no, di milioni di consumatori.
Medito sulla creazione di più spazi d’esibizione per artisti emergenti.
Considero la partecipazione a più media internazionale event un’ottima cassa di risonanza per l’Italia
Infine, ma non ultimo per importanza, fatantisco sull’utilità di realizzare luoghi deputati a far incontrare domanda e offerta musicale, per musicisti e operatori, insomma delle vere e proprie Agorà culturali.
Anche Roma sogna. Desidera giorni in cui avrà l’onore di ospitare nel suo Colosseo spettacoli maestosi nazionali e internazionali.
Pure la musica italiana sogna.
Anela a più spazio nel mondo.
Tutti sognamo, ma i sogni, la musica e la passione dei nostri Artisti e degli operatori, da soli, non bastano.
Internazionalizzare la musica italiana è un sogno ma anche una scelta.
Scelta, sì, di politica economica.