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Sant’Omobono: sede del più antico santuario di Roma

Omobono2A Roma, tra via del di Marcello e il Vico Iugario, ai piedi del Campidoglio, di fronte all’edificio dell’Anagrafe, si trova uno dei siti archeologici tra i più interessanti della Capitale. Si tratta di un’area sacra, sede di uno dei più importanti e antichi santuari, che prende il nome della chiesa che vi sorge sopra. E’ l’Area Sacra di Sant’Omobono.

La scoperta del sito risale al 1937. Dei pozzi scavati sotto la chiesa di S. Omobono per ricavarne una cripta, rivelarono infatti i resti di una capanna databile intorno al VIII secolo a.C., oltre a un’area di culto con altari e residui di ossa animali, con un frammento di vaso con iscrizione.

I lavori di scavo hanno portato alla luce, nel corso del tempo, documenti di importanza eccezionale per lo studio e l’analisi della storia di Roma poiché “siamo sicuri che quest’epoca si sia completamente estinta? L’Impero Romano, infatti, non ci ha lasciato solo statue e monumenti straordinari. […]Romano è l’alfabeto che usiamo, anche su internet. La nostra lingua deriva dal latino[…]per non parlare del sistema giuridico, di quello stradale, dell’architettura, della pittura, della scultura, che non sarebbero gli stessi senza i romani.” (da Una giornata nell’antica Roma, di Alberto Angela, 2011)

E quindi, volendo passeggiare e conoscere l’Area Sacra di Sant’Omobono si scopre che nel secondo quarto del VI secolo a.C., sorsero in questo luogo due templi gemelli voluti da Servio Tullio: il Tempio della Fortuna e il Tempio di Mater Matuta. Essi sorgevano su una superficie, un pavimento, battuto ed erano preceduti da un altare. I due templi furono costruiti su un’area occupata da capanne preistoriche ma in una posizione strategica e significativa per quelli che erano gli scambi commerciali dell’epoca a voler quasi sottolineare lo splendore e la potenza commerciale che aveva all’epoca Roma: il porto fluviale sul Tevere, nell’area del Foro Boario.

Omobono3L’importanza dei due templi è suggellata anche dai loro nomi. Mater Matuta, infatti, era la divinità legata alla navigazione, quella “stella mattutina”che salvava i naufragi e indicava la rotta, molto popolare tra i marinari e mercanti stranieri che frequentavano il porto. E il racconto mitologico vuole che Leucotea, dea di origine tebana, approdò con l’aiuto delle Naiadi sulle rive del Tevere, assumendo il nome di Mater Matuta insieme al figlio Portunus.

Durante gli scavi sono stati portati alla luce oltre a numerose terrecotte, i frammenti di due animali accucciati sulle zampe posteriori e alzati sulle zampe anteriori. Rappresentavano sicuramente due pantere. Il “bottino” degli scavi fu reso ancora più interessante dal ritrovamento di due statue in terracotta, Ercole e forse Minerva. Questi straordinari reperti, insieme ai materiali rinvenuti nel deposito votivo del tempio: balsamari, coppe in ceramica greca, pendagli in osso, ambre, oggetti miniaturistici e altri, sono esposti nei Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori.

L’area fu restaura, così come risulta dai materiali rinvenuti durante gli scavi, nel 540 a.C. e abbandonata nel VI secolo a.C., periodo che corrisponde alla fine della monarchia etrusca e alla cacciata dei Tarquini da Roma. Il tempio, da questo momento in poi, fu seppellito da terra scaricata all’interno del podio. E su questo podio, formato da un muro di grandi blocchi di peperino, alto in tutto circa 4 metri, un secolo dopo, e forse proprio per la sua posizione strategica, vennero riedificati i due templi gemelli, come suggeriscono le fondazioni di un colonnato che corre sui tre lati di ciascun tempio.

Attualmente, si “offre” in visione ai visitatori, in modo completo solo il Tempio della Fortuna poiché la cella della Mater Matuta è stata riutilizzata con ogni probabilità alla fine del V secolo d.C. come edificio di culto cristiano, e fu internamente ristrutturata nel Medioevo, con il presbiterio rialzato e decorato da pavimenti cosmateschi. Si tratta della chiesa menzionata nei documenti come S. Salvatore in Portico, sulla quale nel 1482 venne costruito un nuovo edificio di culto che nel 1575 fu dedicato a Sant’Omobono, protettore dei sarti. Nel 1940 la chiesa fu isolata, restaurata e ripavimentata.

omobono4Vista la complessità e la molteplicità delle stratificazioni che “ha vissuto” l’area, per meglio comprendere la storia che si è avvicendata su questo formidabile luogo di culto, da più parti si tende a riepilogare per fasi l’intero iter formativo/”stratificativo”. Si parte da una prima fase, infatti, caratterizzata dalla presenza di un culto senza alcun edificio di cui è rimasta solo una iscrizione etrusca databile tra il VII e il VI secolo a.C.. E rappresenta la più antica testimonianza di una presenza etrusca certa nell’area di Roma. L’ultima fase, la settima, coincide, invece con la pavimentazione in travertino di età imperiale di cui restano tracce, al centro dell’area, di un doppio arco quadrifronte, forse la Porta Triumphalis, attraverso la quale entravano in città i cortei dei trionfatori, dando inizio alle cerimonie.

Lo stato di conservazione dei resti e i lavori di scavo rendono certamente interessante una visita al sito.

Per le visite all’area archeologica di Sant’Omobono si deve telefonare al numero 06 67103819 per richiedere il permesso.

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