“…a Livia Drusilla…un’aquila lasciò cadere dall’alto in grembo…una gallina di straordinario candore che teneva nel becco un ramo di alloro con le sue bacche. Gli aruspici ingiunsero di allevare il volatile e la sua prole, di piantare il ramo e custodirlo religiosamente. Questo fu fatto nella villa dei Cesari che domina il fiume Tevere presso il IX miglio della Via Flaminia, che perciò è chiamata alle Galline; e ne nacque prodigiosamente un boschetto.” (Plin. nat. XV, 136-137).
Svetonio, Cassio Dione e Plinio hanno scritto di una villa collocata al IX miglio della via Flamiania, su un’altura che domina il Tevere e vicino a quella che oggi è conosciuta come Prima Porta. La villa in questione è quella di Livia denominata nelle antiche fonti ad gallinas albas, in ricordo, come recitano i versi precedenti, dello straordinario evento accorso a Livia, sposa di Ottaviano Augusto, mentre si recava nei suoi possedimenti.
La bellezza e la magnificenza della Villa sono testimoniate dai reperti che dal 1863, anno in cui furono eseguiti i primi scavi, e poi dal 1982, anno da cui la Soprintendenza Archeologica di Roma conduce indagini sulla residenza, sono stati portati alla luce.
In particolare, nel 1863, venne scoperto un ninfeo sotterraneo, dove si è conservata una notevole pittura parietale di giardino ad affresco. L’opera assume una notevole importanza sia dal punto di vista della qualità e sia per la completezza e la datazione. Sono, infatti, le pitture di giardino romane conosciute più antiche e databili tra il 40 e il 20 a.C.
Uccelli in volo, rami piegati dal vento, piante di alloro tra gli alberi principali e lo sfondo si stagliano su un cielo di un “fine” turchese.
Un arioso giardino raffigurato nei minimi particolari dove si contano ben 23 specie vegetali e 69 avicole ma la mancanza di luce e aria nell’ambiente sotterraneo dove è stata rinvenuta l’opera contrastano con la luce e lo splendore della pittura. La moltitudine di dettagli che su di esso sono stati riprodotti conduce lo sguardo dello spettatore in un giardino che va oltre il reale, potrebbe somigliare quasi a una di quelle serre dove si trovano in un susseguirsi delle “stanze” predisposte in modo tale da permette la convivenza di specie vegetali che non fioriscono nel medesimo periodo dell’anno. O forse, più semplicemente, potrebbe essere un “catalogo” botanico.
Le specie vegetali o avicole sono rappresentati sulle pareti a grandezza naturale e senza interruzioni, nemmeno agli spigoli e alcuni elementi orizzontali ne organizzano con sapienza la prospettiva del giardino: alla staccionata di canne e rami di salice in primo piano, fa da contrappunto a una balaustra marmorea in secondo piano. Tra questi due elementi prende vita il giardino vero e proprio, con gli alberi variopinti, ricchi di fiori e frutta. La doppia recinzione ha la funzione di definire lo spazio verde spostando lo sguardo dello spettatore dalle piante poste oltre la balaustra.
Anche la tecnica della prospettiva ha il tocco della “professionalità”: i dettagli delle piante sono precisi e rigorosi per quelle in primo piano, tanto che è possibile un’analisi botanica di ciascuna pianta, e diventa via via più approssimativa fino a sfumarsi allontanandosi verso l’orizzonte. Il tutto concorre a donare all’opera un preciso senso di profondità spaziale.
Il “gioco” della simmetria è condotto nell’opera, anch’esso, in modo rigoroso: al centro delle pareti sono disposti gli alberi principali, affiancati da altri alberi secondo precise regole compositive. Lo spazio dello giardino è uno “spazio chiuso”. La sua estensione è finita, e non indefinita, nella composizione dell’opera.
L’uso dei colori, la grandezza delle immagini, e la composizione del giardino stesso danno quasi l’idea di essere dall’altra parte rispetto a una parte di vetro e di osservare la natura che la circonda.
Esempi di “pittura di giardini illusionistici” come questo del ninfeo sotterraneo della Villa di Livia a Prima Porta si ritrovano, ma di qualità più bassa, in alcune tombe della necropoli di Alessandria.
Durante gli anni 1951-1952, a seguito dei danni della Seconda Guerra Mondiale, si decise, a cura dell’Istituto Centrale del Restauro, di straccare gli affreschi presenti nella Villa e da allora sono conservati nel Museo Nazionale Romano nella sezione Palazzo Massimo delle Terme.