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L’Esquilino, quante storie!

maggiorefacciataUn’incisione ottocentesca di Bartolomeo Pinelli mostra, in bianco e nero, l’Esquilino visto dal Colosseo. L’immagine lascia poco spazio alla fantasia. In primo piano, una coppia che indossa nobili vestiti dell’epoca “sbircia” da dietro un cespuglio di canne la vita campestre che poco più in là anima la giornata. Contadini che raccolgono l’uva e contadini che appoggiati alle loro zappe si concedono una chiacchierata. Il paesaggio tutt’intorno è quello della tipica periferia romana: alberi, mura di cinta diroccate e sullo sfondo troneggia la croce di una chiesa e i resti di un’alta e antica dimora.

Una foto di qualche anno fa si sovrappone all’incisione di Bartolomeo Pinelli e da qualsiasi angolazione si cerca di posizionarla ci si rende presto conto che le immagini non combaciano. I contadini sono spariti, le vigne, gli alberi e il cespuglio di canne sono andati via, trasportati dal vento della modernità che i secoli trascorsi si sono portati dietro. La chiesa con la sua croce è ancora là insieme alle mura di cinta un po’ più diroccate e ai resti dell’antica dimora.

L’Esquilino, uno dei sette colli di Roma, ha cambiato fisionomia nel corso del tempo ma non struttura. Dal suo nome Esquilinus, popolare in età imperiale e usato per indicare il colle che in origine era conosciuto come Esquiliae, forse derivato da aesculus, la pianta del leccio molta diffusa nella zona, a un’altra etimologia che “vuole” il nome del colle legato al verbo excolere, cioè “abitare fuori”, alludendo allo status di “borgo suburbano” rispetto a quella parte della città collocata sul colle Palatino. Il colle Esquilino, ieri come oggi, è formato dalle alture del Cispio, a nord, e dell’Oppio a sud, con l’appendice del Fagutale.

La tradizione vuole che l’Esquilino entrò a far parte integrante della città solo verso la metà del VI secolo a.C., con Servio Tullio, e da questo momento la zona si avviò a diventare il “quartiere” più popoloso della città. Il luogo era pressoché privo di monumenti e di edifici pubblici ma aveva alcuni santuari significati dedicati soprattutto a culti popolari come i Templi di Diana, della Fortuna Virgo, di Minerva Medica e di Mefitis. La parte orientale del colle che, invece, restò fuori dalle mura repubblicane era attraversata da acquedotti e da due grandi strade, la Labicana-Praenestina e la Collatina-Tiburtina. Quest’area del colle venne presto abbandonata dalle famiglie nobili e agiate e finì per diventare “campo dei poveri”. Non era, infatti, raro imbattersi in boschetti maleodoranti, tra radure e immondizie dove venivano sepolti schiavi, condannati e prostitute d’infimo rango in casse sgangherate che s’aprivano per il ruspare degli animali affamati o venivano sconnesse da temporali e fiumi di acqua mai regolata, nelle bufere. Luogo, questo, anche di fattucchiere e di squallide aggressioni. L’arrivo di Mecenate, gran signore etrusco e consigliere di Augusto, tra gli anni trenta e venti a.C., contribuì alla bonifica di questa parte del colle. Il gran signore fece coprire con migliaia di metri cubi di terra i vecchi campi scellerati, vi fece piantare alberi d’alto fusto e costruire giardini, elevando di parecchi metri il suolo dell’Esquilino.

Il grande Orazio ne cantò, nel 35 a.C., la novità con i suoi celebri versi: “ed ora sull’Esquilino risanato si può abitare in luoghi più salubri e passeggiare al sole sui bastioni, dove prima con raccapriccio si vedeva biancheggiare di ossa umane la terra desolata”.

RomaesquilinoCon il crollo dell’impero romano e con l’avvento dei barbari le alture dell’Esquilino rimasero di nuovo disabitate. I magnifici giardini di Mecenate divennero tristi e la gente andò ad abitare più a valle, tra il Laterano e il Colosseo, o attorno al Campidoglio e al Quirinale.

E in questo paesaggio “lunare”, desolato e intristito, avvenne il fatto leggendario “la nevicata del 5 agosto”. E proprio là, papa Liberio, e un patrizio di Roma, Giovanni, si recarono il mattino dopo la nevicata, vista da entrambi in sogno e iniziarono la costruzione della basilica, poi rifatta con maggiore solidità da papa Sisto III per celebrare Maria, Madre di Dio, tale definita dal Concilio Ecumenico di Efeso del 431.

Quando si parla dell’Esquilino non si deve confondere l’entità orografica del colle Esquilino con l’entità amministrativa del Rione Esquilino. Quest’ultimo occupa il colle nella sua parte nordorientale, mentre la parte sudoccidentale del colle è occupata dal Rione Monti, uno dei più antichi di Roma. I due rioni sono separati da via Merulana, una lunga via che collega tra loro le basiliche patriarcali di S. Maria Maggiore e di S. Giovanni in Laterano.

E oggi se la caratteristica del Rione Esquilino è quella di una grande concentrazione di attività commerciali di proprietà persone provenienti da paesi extraeuropei, soprattutto cinesi, la cui comunità è a Roma la più numerosa d’Italia, seconda solo a Prato, con oltre 20.000 presenze, l’Esquilino, il colle, è legato a luoghi come il Macellum Liviae e la villa di Mecenate, il Vicus Patricius e il Vicus Longus (La casa di Pudente e la chiesetta di S. Maria ‘ad praesepe’) e poi alla leggenda della nevicata del 5 agosto e alle grandi idee di papa Sisto V: la villa, la cappella e l’obelisco al centro di una stella, la Basilica e la dimora di Santa Pudenziana, la Basilica di Santa Prassede e la Piazza di S.Maria Maggiore. E vogliamo forse dimenticarci di via Panisperna? Dei Ragazzi di Via Panisperna? Sì, proprio di quel gruppo di fisici, tutti giovanissimi, che nel Regio istituto di fisica dell’Università di Roma ubicato proprio in via Panisperna, collaborarono con Enrico Fermi alla scoperta, nel1934, delle proprietà dei neutroni lenti, scoperta che dette l’avvio alla realizzazione del primo reattore nucleare e della bomba atomica.

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