“Ma sei proprio di coccio?” Tra amici, specialmente a Roma, è facile sentirsi apostrofare con un’espressione come questa. E Roma a proposito di cocci la sa proprio lunga. Addirittura girando per le vie della città è facile ritrovarsi nelle vicinanze di una collinetta, popolarmente chiamata, Monte dei Cocci o Monte Testaccio. Il coccio è un’anfora e il termine “testaccio” deriva dal latino “testa”, ovvero coccio. E il gioco è presto fatto: testa uguale coccio!
Il Monte Testaccio altro non è che una collinetta artificiale, alta circa 30 metri, 54 dal livello del mare, e con una circonferenza di un chilometro, posta sulla sponda sinistra del Tevere, nella zona sud-est della Capitale, nasce dall’accumulo di testae, cocci, in prevalenza frammenti di anfore usate per il trasporto delle merci, sistematicamente scaricati e accumulati nella zona, con ogni probabilità, tra il periodo augusteo e la metà del III sec. d.C.. Una “discarica“, insomma, del vicino porto fluviale dell’ Emporium.
La maggior parte delle anfore, o meglio dei pezzi di anfore oggi visibili nell’area, riportano datazioni e indicazioni commerciali che le fanno risalire per 1/3 a anfore olearie di origine africana, provenienti dalla Byzacena, l’odierna Tunisia, e per 4/3 di origine betiche. La Betica era una provincia romana situata nell’attuale Andalusia.
La forma di questi contenitori era sferica e recava il “marchio di fabbrica” su una delle due anse, oltre al nome dell’esportatore, alla data consolare e al registro dei vari controlli dalla partenza all’arrivo. Il tutto era impresso con un pennello a calamo. E proprio le indicazioni riportate sulle anfore fanno del “monte” una sorte di archivio della storia commerciale ed economica di Roma.
All’atto pratico un accumulo di materiale di tale entità fu reso possibile dalla creazione, all’epoca, di una rampa e di due stradine che venivano percorse continuamente da carri ricolmi di anfore che arrivavano a Roma con vari prodotti pagati come tributo da tutte le provincie dell’Impero Romano. La discarica veniva, quindi, considerata il simbolo dell’orgoglio e del potere della Roma antica. Infatti, proprio per il loro contenuto le anfore non potevano essere riutilizzate per cui erano dei veri e propri “vuoti a perdere”.
Il Monte dei Cocci era di proprietà del popolo romano che lo difese strenuamente, nel corso del tempo, prevedendo addirittura pene detentive per chi ne asportava i “rifiuti”.
Le prime “memorie” del Monte Testaccio datano alcuni documenti 1256, periodo del pontificato di Alessandro IV, legandolo alle feste di carnevale, il ludus Testaccie.
Nel XVII secolo la zona cambiò volto. Pietro Ottini e Domenico Coppitelli comprarono il terreno intorno al colle per aprirvi cantine e stalle, i “grottini”, sulle quali si costruirono casette che oggi, ristrutturate, ospitano ristoranti e locali notturni. Locali questi, le antiche osterie, che in passato sono state mete delle feste e delle scampagnate dei romani. Sede, infatti, dei banchetti gastronomici che allietavano le famose Ottobrate romane quando con carretti addobbati a festa le donne che raccoglievano l’uva sfilavano tra canti, balli, gare di poesia, giochi e chiacchiere, e si rinfrancavano dal lavoro innaffiando il tutto con del buon vino dei Castelli romani, che al tempo veniva conservato nelle cantine scavate alle pendici del monte.
Durante la seconda guerra mondiale sul Monte Testaccio vi fu installata anche un’intera batteria antiaerea, smantellata alla fine del conflitto e oggi ne sono visibili solo i resti delle quattro piattaforme per i cannoni antiaerei.
Il quartiere Testaccio, nel cuore di Roma, offre altre location interessanti per residenti e turisti. Per esempio da giovedì 29 settembre a domenica 2 ottobre l’appuntamento è con la festa di Testaccio e l’iniziativa “Tramonti e Cocci”. Dove stand di artigianato, modernariato, gastronomia, moda e abbigliamento, saranno visitabili tutti i pomeriggi dalle 17 alle 20. Oltre a passeggiare tra i prodotti in esposizione a caccia di occasioni da acquistare si potrà assistere ad eventi e spettacoli in cartellone.