Ma che cosa era un horto al tempo di Lucullo e Sallustio? Era un grande parco ricco di piante. C’erano soprattutto il bosso, il cipresso e il leccio. Piante che potevano essere facilmente modellate, scolpite, come una lastra di marmo che nelle mani dello sculture diventa statua. E’ questo, infatti, il periodo in cui nasce l’arte “topiaria”, cioè di scolpire le siepi e le chiome degli alberi in modo da creare figure geometriche, forme fantastiche e, addirittura, intere scene.
Gli Horti dove Gaio Sallustio Crispo si ritirò, in volontario e dorato esilio, alla fine della sua tumultuosa carriera politica, e dove trascorrerà gli ultimi nove anni della sua vita componendovi le opere storiche e letterarie che contribuiranno a ricordare per sempre il suo nome, si estendevano nella zona nordoccidentale di Roma, tra i colli del Pincio e del Quirinale e il proseguimento della via Alta Semita (oggi, Via XX Settembre), via Salaria, le Mura Aureliane, l’attuale via Veneto, poco dopo Porta Salaria. Questa immensa zona porta ancora oggi il suo nome storico: rione Sallustiano.
Nel XVII secolo l’area del futuro quartiere Sallustiano rientra nella proprietà della famiglia Barberini e il palazzo della villa sorge proprio sui resti di antichi edifici romani e su una parte delle mura repubblicane costruite nel IV secolo a.C.. Nel 1870 l’intera proprietà viene acquistata dall’antiquario ed editore svizzero Giuseppe Spithoever, il quale, 11 anni dopo inizia una serie di lavori di livellamento dei terreni e di costruzione di strade. Per effetto di questi lavori il padiglione monumentale che oggi è possibile ammirare in tutta la sua bellezza a Piazza Sallustio resterà semisepolto e quasi invisibile a livello delle nuove strade che attraversano la zona. Unico accorgimento adottato nei confronti del monumento è stata la costruzione di grosse mura di contenimento.
L’arditezza dell’architettura utilizzata e lo splendore delle decorazioni sono visibilissimi in questo antico edificio “incastonato” nel terreno. La parte principale della struttura è formata da un insieme di ambienti di ampiezza e forma diversa. Il centro del padiglione è caratterizzato da un’aula circolare sulle cui pareti si aprono due nicchie. La volta di quest’aula circolare, a spicchi o a conchiglia, richiama elementi caratteristici di Villa Adriana a Tivoli. A seguire un’aula rettangolare caratterizzata da una copertura formata da due volte a botte sovrapposte che poteva essere isolata dall’aula centrale attraverso tende, come testimoniano dei grandi fori presenti nella struttura. Quasi certamente, secondo gli storici e gli studiosi, il grande padiglione era una cenatio festiva d’estate e a seconda del numero degli ospiti si poteva rinunziare o meno all’aggiunta della sala posteriore. Arretrato rispetto all’ingresso del corpo centrale del complesso, si erge un edificio a più piani, un’insula di tipo signorile, dove sono stati trovati locali interamente affrescati e pavimenti a mosaico, che con i lavori di restauro effettuati alla fine del secolo scorso è possibile vederli oggi nel loro antico splendore.
Dal VI secolo d.C. e fino a tutto il Medioevo la zona degli Horti Sallustiani rimase abbandonata. All’inizio del periodo Rinascimentale l’area si presentava ancora coperta da uliveti e boschi di lauro dove sporadicamente si intravedevano case con piccoli poderi. Finalmente, nel 1969, il complesso viene dichiarato di «notevole interesse archeologico» e a fine secolo si è, finalmente, intrapreso un serio progetto di restauro per il padiglione degli Horti Sallustiani di Piazza Sallustio.
Un sito archeologico incastonato e a sprazzi “soffocato” tra gli edifici della Roma moderna. E solo voltando fisicamente le spalle alla modernità, lasciandosi dietro palazzi, strade, e la rumorosità del quartiere, si riesce a focalizzare lo sguardo sui resti di queste splendide opere e a rivivere, nella loro fantastica caparbietà, le scene iniziali di quell’antico film girato in un tempo in cui “la macchina da presa” era tra le mani di personaggi come Lucullo e Sallustio.