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Il Museo Laboratorio della Mente di Roma

museo_mente1Ospitato nel Padiglione 16 dell’ex area manicomiale Santa Maria della Pietà, il Museo Laboratorio della Mente venne inaugurato nel 2000 grazie al sostegno della Regione Lazio e dell’Azienda Ospedaliera (A.S.L. Roma E).

Data la quantità di materiale di valore storico, artistico e culturale concernente l’ex Ospedale Psichiatrico, si è creato un Centro Studi e Ricerche con lo scopo di conservare e tutelare tutto il patrimonio. Così, accanto al Museo sono nati l’Archivio Storico, l’Archivio Audiovisivo e la Biblioteca Cencelli, specializzata in mentale.

museo_mente2Un’enorme area di 35 ettari nella periferia nord della città (attuale zona Monte Mario), con 37 edifici, formavano uno dei manicomi più grandi d’Europa, istituito in questa sede nel 1914. Considerati pericolosi per se stessi e per gli altri e di pubblico scandalo, i “matti” venivano internati e suddivisi tra i vari padiglioni in base al comportamento e al sesso: i “malatini”, i “tranquilli”, gli “agitati”, i “sudici”, ecc; uomini separati dalle ; per i bambini c’era un altro padiglione a parte. Attualmente lo spazio è generalmente gestito dall’Azienda Ospedaliera locale, in seguito al traferimento degli ultimi ricoverati nelle nuove strutture nel 1999.

Il Museo Laboratorio della Mente è ospitato in uno degli allora padiglioni maschili ed è strutturato in un percorso circolare attorno ad un muro trasparente, sul quale sono costantemente proiettati dei corpi che si lanciano violentemente contro di esso, a simboleggiare la barriera invisibile che porta all’esclusione della persona dalla società. Un breve cammino che, attraverso installazioni interattive, video, ricostruzioni ed immagini, vuole avvicinare lo spettatore alla decostruzione fisica e psicologica che causa l’allontanamento dallo spazio e dalla realtà “normale”.

Le prime quattro stanze sono installazioni che inducono l’osservatore a vivere una deformazione della percezione visiva, ottica ed acustica portandolo ad una sensazione di smarrimento e ad una perdita della capacità di previsione della realtà. Si passa poi alla parete con i ritratti del dottor Romolo Righetti, medico del Santa Maria della Pietà dei primi anni del Novecento, che ritrasse dettagliatamente i tratti della malattia mentale, come solamente un medico poteva fare. Subito dopo il visitatore è invitato a sottoporsi alla macchina fotografica, così come avveniva ai pazienti appena arrivati in manicomio, ai quali veniva fatta una identificativa sotto la lavagna con scritto il nome. Il percorso prosegue con la stanza del tavolo che diventa allo stesso tempo un’esperienza da vivere, per chi si siede ascoltando il brusio di voci con la testa tra le mani e i gomiti puntati sul tavolo, e un’immagine fortemente significativa per chi osserva la persona sola con lo sguardo abbassato verso il piano nella stanza semioscura. Ancora lo spettatore è protagonista nel “dondolo”, una seduta che costringe ad un movimento oscillatorio per poter vedere i volti dei degenti ed ascoltarne l’esperienza personale.

Si giunge così alla grande stanza con la ricostruzione di uno dei muri esterni del Manicomio di Volterra, inciso con le parole di Fernando Oreste Nannetti, e i quadri di Gianfranco Baieri; si possono poi osservare le ricostruzioni di tre ambienti fondamentali del manicomio: la fagotteria, lo studio medico e la stanza di contenzione. E ancora la sala da pranzo, la farmacia, e le macchine dell’elettroshock, fino ad arrivare al video finale che ricorda uno dei primi passi dell’evoluzione del manicomio: l’abbattimento nel 1974 delle reti esterne ai padiglioni, un primo sentore del progresso che portò alla definitiva approvazione della celebre Legge 180 (Legge Basaglia), che sanzionò la chiusura dei manicomi.

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