Il luogo scelto come rappresaglia in seguito al celebre attacco di via Rasella, avvenuto nel 1944, ubicato lungo la via Ardeatina vicino all’incrocio con via delle Sette Chiese, è oggi divenuto un luogo storico, visitabile, a ingresso gratuito. Ma chi si appresta ad antrarvi non può sottovalutare l’importanza storica e morale che questo luogo ha nella memoria dei romani e del popolo italiano tutto.
L’armistizio dell’8 settembre 1 943, dichiarato in seguito alla resa dell’Italia di fronte alle potenze angloamericane, portò la popolazione a doversi confrontare d’improvviso con le truppe tedesche, che fino a quel momento aveva affiancato. Gli ex alleati avevano infatti occupato la penisola in diversi punti strategici e accerchiarono militarmente una Roma devastata dalla guerra. Tra le macerie dei quartieri della capitale si formarono delle organizzazioni clandestine di carattere militare con lo scopo di svolgere un’azione anti nazifascita e protettiva nei confronti della “Città Aperta”. Spesso si trattava di attentati e azioni di sabotaggio che sfociarono, il 23 marzo 1944, con l’attentato in via Rasella contro una compagnia di polizia tedesca, nel quale restarono uccisi sul colpo 26 militari, e altri 7 gravemente feriti morirono i giorni successivi. Furono 33 in totale le vittime tedesche. Il generale Malzer accorso sul posto, parlò al comando nazista di un grave attentato che si decise di vendicare, su ordine dello stesso Hitler, con la morte di 10 civili per ogni tedesco rimasto ucciso.
Il massacro venne organizzato dal comandante Kappler, che raccolse 335 persone (alla lista vennero aggiunte cinque persone per errore) tra partigiani, ebrei, detenuti, condannati a morte. Il giorno 24 marzo 1944, 335 civili furono brutalmente fucilati, e i cadaveri ammassati sotto le cave di pozzolana di via Ardeatina, che vennero poi fatte esplodere dalle mine per camuffare le prove di tale terribile eccidio.
Nel 1949 venne inaugurato il solenne Sacrario delle Fosse Ardeatine, dopo l’indizione di un bando pubblico da parte del comune di Roma, per il quale vinsero ex equo due progetti che vennero realizzati in modo congiunto dagli architetti Nello Aprile, Mario Fiorentini, Giuseppe Perugini.
Si entra nel piazzale antistante le cave attraverso l’imponente cancello in bronzo realizzato dallo scultore Mirko Baldassella: una grosso filo spintato intrecciato, sul quale si apre una porticina che quasi costringe ad abbassarsi per entrare. Sovrasta la monumentale scultura in travertino dei Martiri di Francesco Coccia: un giovane, un adulto e un anziano uniti nella sofferenza del martirio.
Le grotte conservano ancora l’assetto originario, con i due grandi squarci in alto lasciati dallo scoppio delle mine che dovevano ostruire l’accesso al luogo dell’orrore. Camminando tra i cunicoli non si può che osservare il silenzio che guida fino al fondo, dove un cancello delimita il punto esatto in cui vennero ritrovati i corpi ammassati, tre mesi dopo l’esecuzione.
Uscendo dalle grotte si entra nel Mausoleo: una grande aula coperta da un soffitto che lascia penetrare un sottile fascio di luce lungo tutto il perimetro, come fosse una lama. 336 identiche bare in granito, disposte su 7 file parallele raccolgono tutte le salme, di cui 12 non sono state identificate; la prima bara è simbolicamente dedicata a tutti i caduti per la lotta contro il nazifascismo.
Alle spalle del Mausoleo è visitabile il Museo, realizzato su pianta ottagonale, dove sono esposti documenti e fotografie che illustrano le giornate della resistenza, dall’Armistizio dell’8 settembre 1943 alla Liberazione del 1944. Le pareti sono dominate da tre grandi opere: il dipinto di Corrado Cagli e il bassorilievo di Renato Guttuso, che rappresentano l’oppressione e l’ammasso confuso dei corpi senza vita; il dipinto di Carlo Levi ispirato alla liberazione dopo il terrore.
Non si tratta del Colosseo, né di San Pietro o dei Fori Imperiali, ma l’emozione e la suggestione che questo luogo provoca non è sicuramente di minore entità.