Questo antico borgo situato su una rigogliosa collina a pochi chilometri da Roma, è un vero gioiellino della comunità montana “Valle dell’Aniene”, antichissimo come testimoniano alcuni ritrovamenti addirittura preistorici.
Nel nome Vicovaro si può forse ritrovare la mitica città di Valeria ragion per cui l’etimologia del paese deriverebbe da Vicus Varronis o Vicus Valerius. Secondo una ipotesi meno accreditata deriverebbe invece da “Varo, Varo, ridammi le mie legioni!” gridato dall’imperatore Augusto, ad avergli dato il nome.
In ogni caso le alterne vicende hanno scandito i secoli e lasciato evidenti segni nei monumenti e nelle tradizioni.
Dall’epoca preistorica a quella romana, dal Medioevo alle famiglie Orsini e Bolognetti, dalla seconda guerra mondiale all’epoca moderna, passando per la storia di personaggi come Il Sabellico, che si sono distinti per le loro imprese.
Forse la struttura più interessante, dal punto di vista della tradizione popolare, è il Tempietto di San Giacomo, situato sul lato opposto della piazza rispetto alla Chiesa di San Pietro. In questa costruzione è situato un quadro con la Madonna, a cui è attribuita la sovrannaturale capacità di girare gli occhi in modo da guardare sempre il visitatore. Questa immagine è particolarmente venerata dai vicovaresi e, si dice, che abbia fatto per loro alcuni miracoli. La Chiesa di San Pietro, con classica forma a croce greca, è la cattedrale di Vicovaro e fu progettata da Girolamo Theodoli, lo stesso che realizzò il Teatro Argentina a Roma.
Non è comunque di minor bellezza Palazzo Cenci Bolognetti, subito accanto alla Chiesa, recentemente restaurato ed ora centro per lo svolgimento di convegni e ricevimenti, e che fu a suo tempo residenza degli Orsini, la famiglia che dal medioevo esercitò sul paese la sua signoria. Tutte queste magnifiche opere architetoniche si affacciano sulla stessa piazza, dove abitualmente si svolge l’immancabile “struscio” serale.
Sulla piazza, inoltre, il giorno dei santi Pietro e Paolo si svolge la classica infiorata, un po’ sul modello (anche se ridotto) di quella di Genzano. La raccolta dei fiori per tale occasione è un compito che spetta all’intera popolazione femminile, che vi si dedica con grande impegno e meticolosità sin dalla settimana prima.
Un altro appuntamento da non mancare, oltre a varie feste e processioni, è il carnevale in piazza, che si festeggia in maschera il martedì grasso. La celebrazione avviene con l’accensione di un grande falò nella piazza stessa, grazie al quale si brucia la strega – si inizia a mezzanotte esatta del martedì per poi proseguire nelle prime ore notturne del mercoledì, quando dunque sono già le Ceneri. Per chiudere i festeggiamenti si mangia la polenta con la saraghella (cioè l’aringa). A questo punto tutti i partecipanti, come vuole la tradizione, intonano un ritornello popolare che recita: “Carnevale ghiotto ghiotto s’è magnato lu prosciutto, la quaresima poverella se la magna la saraghella”.
La polenta è in effetti uno dei piatti tipici del luogo, insieme alle tagliatelle all’uovo che vengono proposte dai ristoranti locali rigorosamente fatte a mano e servite nei modi più diversi. Altre leccornie tipiche sono la pizza detta “di ventiquattr’ore”, per via della quantità di tempo che ci vuole per farla lievitare, aromatizzata all’anice; la “nociata”, che viene fatta con noci sgusciate, miele e foglie d’alloro; le ciambelle con l’anice, ottime da gustare intinte nel vino; e infine il classico pane di Vicovaro, che ha la particolarità di essere realizzato anche con parte dell’impasto lasciato dal pane cotto la sera prima.
Il borgo è circondato dai bastioni delle mura ciclopiche, attraverso le quali è possibile l’accesso al paese grazie alle due porte dette “Porta-capo” e “Porta-pei” (porta piedi). Fuori Vicovaro, oltre alla presenza di alcune chiese, è importante quella del prezioso e accogliente convento benedettino di San Cosimato – situato peraltro in un contesto turisticamente ben attrezzato, che offre ristoro e buon cibo agli avventori -, e dove si può visitare anche la grotta in cui San Benedetto si ritirò in eremitaggio quando vi fu ospite: la storia narra che lì il Santo subì un tentativo di avvelenamento per mano degli stessi frati.