Emblema della mondanità fin dagli anni '50, via Veneto e la sua fama furono sancite definitivamente dal successo del film di Fellini "La dolce vita", in cui eleganti caffè e lussuosi alberghi facevano da cornice alle scene cinematografiche che resero immortali Mastroianni e la Ekberg. Proprio in questo scorcio di Roma, appartata dalla mondanità e dall'eleganza tuttora presenti, trova posto discretamente la chiesa dell'Immacolata o della Concezione, che si trovava già qui mentre impazzava la dolce vita. Lasciando piazza Barberini e salendo verso Porta Pinciana, percorrendo il lato destro di via Veneto, al numero 27, proprio davanti alla buca della metro, si trovano le ripide scalette che conducono all'ingresso di un luogo inaspettatamente sorprendente.
Di solito, il turista fa rotta senza tappe intermedie verso Fontana di Trevi, mentre il romano medio è in ritardo per definizione e pertanto ha fretta di andare dove deve andare. Io stesso ci capitai casualmente per la prima volta qualche anno fa, mentre girovagavo per le vie del centro. E fu per puro caso che mi ritrovai ad osservare affascinato uno degli spettacoli più macabri e surreali che abbia mai visto.
Ma andiamo per gradi, e prima di tutto dedichiamo qualche parola per ripercorrere la storia di questo luogo, di cui parlarono in passato personaggi illustri come il Marchese de Sade.
I cappuccini sono da sempre considerati "i frati del popolo", soprattutto durante le varie epidemie e guerre che hanno colpito Roma. Tra alterne vicende, i frati abitano in questa residenza, riedificata tra il 1928 ed il 1933, dal 1631, ma dello stabile costruito per loro dalla famiglia Barberini, rimangono oggi solo la chiesa e la cripta cimiteriale.
Nella chiesa, la prima messa fu celebrata da Papa Urbano VIII Barberini nel 1630. Suo fratello, il Cardinale cappuccino Antonio Barberini, che fece costruire la chiesa, è tuttora sepolto nei pressi dell'altare maggiore e sulla sua lapide funeraria sono scolpite le parole da lui stesso dettate prima della morte: Hic iacet pulvis cinis et nihil ("qui giace polvere, cenere e niente").
Ricalcando il disegno tipico delle chiese dei cappuccini, anche questa presenta navata unica e cappelle laterali rialzate, chiuse da cancelli di legno. Proprio all'interno delle cappelle trovano posto mirabili dipinti firmati da nomi illustri come Guido Reni e Domenichino, mentre il coro è adornato con capolavori di Antonio Alberti ed un "San Francesco in meditazione" attribuito al Caravaggio.
Dopo la visita della chiesa, per chi se la sente inizia un breve ma intenso percorso da fare in apnea, tra autentiche opere d'arte la cui macabra originalità rimane scolpita nella memoria.
Nella cripta furono trasportati i resti mortali dei cappuccini dal cimitero del convento di San Bonaventura. E le loro ossa, assieme a quelle di tanti altri – frati e poveri di Roma – sepolti tra il 1528 ed il 1870, sono state utilizzate per ornare le pareti della cripta.
Essendo il luogo di dimensioni piuttosto ridotte e considerando l'elevato numero di frati ospitati nel convento internazionale adiacente, le salme venivano riesumate con una certa periodicità e le ossa conservate nell'ossario. Alcuni calcoli hanno stimato un numero di ossa corrispondenti a quasi 4.000 persone. Verso la metà del XVIII secolo, una serie di interventi di restauro trasformò questo luogo in una vera e propria opera d'arte, valorizzando in tal modo uno spazio fino ad allora dedicato esclusivamente alla sepoltura ed alla religiosa preghiera dei frati cappuccini.
Percorrendo un lungo e basso tunnel, sul lato sinistro si aprono una serie di celle, chiuse da cancelli, caratterizzate da una atmosfera lugubre ma incredibilmente affascinante. Si tratta di cripte sepolcrali e di una cappella. In quest'ultima vengono celebrate le Messe per i defunti ed è l'unico ambiente dove non sono presenti ossa. La pala d'altare raffigura la Madonna con il Bambino mentre la parete sinistra accoglie, custodito in una teca di piombo che ne riproduce la forma, il cuore di colei che si considerava "madre" dei cappuccini, la pronipote di Papa Sisto V, Maria Felice Peretti.
Le cripte sono invece adornate, è davvero il caso di dirlo, con mosaici e raffigurazioni costruiti utilizzando le varie tipologie di ossa dei riesumati. È così che si presentano la cripta dei teschi, la cripta dei bacini, quella dei femori e delle tibie. In una cripta a parte sono invece conservati alcuni scheletri della famiglia Barberini, figure inquietanti cariche di simbologia (la falce, che rappresenta la morte, la mandorla, simbolo della vita nascente, la bilancia, simbolo della giustizia divina).
"Noi eravamo quello che voi siete, e quello che noi siamo voi sarete". Questa frase sibillina, leggibile su una targa nella cripta, sottolinea un aspetto macabro e lugubre di una Roma poco nota. I Cappuccini rappresentano in arte la propria idea della morte, esorcizzandola mediante la visione del corpo come mero contenitore dell'anima, un corpo che può essere riutilizzato dopo che questa lo ha abbandonato.