Raro esempio di architettura neo-gotica a Roma e fulcro della vita della comunità anglicana, la chiesa di All Saints da oltre un secolo è un luogo di preghiera e allo stesso tempo di impegno sociale, attraverso attività di accoglienza e di raccolta fondi per aiuti umanitari in diversi paesi del mondo.
Con la sua presenza, discreta ma sempre attiva, è tramite per il dialogo con altre realtà religiose, in un’ottica di confronto e collaborazione. Una delle maggiori sfide dei nostri tempi.
E’ difficile risalire esattamente agli anni in cui la comunità britannica di religione anglicana presente a Roma, cominciò a riunirsi per celebrare le proprie funzioni religiose.
Di certo si sa che dopo la Riforma protestante queste non erano consentite, e la loro ricomparsa è datata 1816, ad opera del ministro Corbert Hue, arrivato non si sa per quale motivo a Roma dal Jesus College di Oxford.
Hue è il primo ministro anglicano di cui si ha notizia, ad aver officiato a Roma il proprio culto attraverso il ‘Book of Common Prayer’, il testo religioso anglicano più importante. Predicando pubblicamente, come lui stesso ammise, ‘nella capitale del Papa, e davanti alla vista del Vaticano’, si rese conto fosse opportuno ottenere un’autorizzazione dal Pontefice.
Papa Pio VII rispose in modo tanto positivo quanto lapidario: ‘Il Papa sa nulla e concede nulla.’
Come dire, occhio non vede…
Da quel giorno i fedeli si riunirono per le proprie funzioni religiose, dapprima in luoghi di ritrovo grandi poco più di una stanza e in grado di accogliere appena qualche decina di persone, e in seguito, con l’accrescere della comunità, in una cappella vicino a Porta del Popolo, definita ‘home in Rome’. Era il 1825.
All’interno della comunità anglicana, si faceva però sempre più sentire la necessità di una chiesa vera e propria, il cui progetto venne affidato all’architetto inglese George Edmund Street, il cui nome è legato alla costruzione delle più importanti chiese anglicane d’Europa, come San Paolo dentro le mura a Roma.
Sotto la direzione di Street, fervente devoto anglicano e interprete del neo-gotico, venne individuato, dopo diverse ricerche, il luogo su cui sarebbe sorta l’attuale chiesa di All Saints, all’angolo tra via del Babuino e via Gesù e Maria.
Street non vide mai il suo progetto realizzato, perché morì precocemente nel 1881, dopo che fu posta la prima pietra, ma i lavori proseguirono sotto la supervisione del figlio Arthur Edmund, e vennero ultimati nel 1887.
Street volle che la chiesa di All Saints si inserisse armoniosamente nel contesto architettonico di Roma, e per questo scelse per la facciata esterna marmi provenienti dalla vicina Tivoli, capaci di riflettere la luce mediterranea.
L’interno, a tre navate, con i suoi 40 metri di lunghezza e 18 di altezza, dà una sensazione di ampio respiro, che si concentra intorno all’altare, centro della liturgia.
Le pareti sembrano un omaggio al cielo della città, la cui luce filtra attraverso i vetri colorati e risplende sui marmi interni, gialli, bianchi, neri e rossi, provenienti dalle più famose cave italiane.
Le vetrate sono due decine, rappresentanti figure sacre, e sono giunte a noi intatte, cosa non di poco conto, se si considerano le devastazioni che ebbero luogo con la seconda guerra mondiale.
Troneggiano sui fedeli come il grande cerchio con le lettere ‘IHS’, le prime tre lettere della parola ‘Gesù, in greco. Quest’ultimo, è l’unico elemento recuperato dalla cappella di Porta del Popolo.
La chiesa fu completata solo con il Giubileo del 1937, principalmente per mancanza di fondi, con la costruzione del campanile, che venne realizzato in travertino bianco, in modo da stagliarsi nell’azzurro del cielo.
Diversi anni dopo, Papa Giovanni XXIII confidò all’allora cappellano di All Saints che a volte guardava il panorama di Roma con il binocolo. ‘Quando lo faccio’, aggiunse, ‘il campanile della vostra chiesa è proprio al centro della mia finestra.’
Oggi la chiesa di All Saints non è più ‘la chiesa inglese’, ma un punto di riferimento fondamentale per tutta la comunità anglicana, parte di un progetto religioso che si estende in molti altri paesi europei e coinvolge altri culti, come quello episcopale, luterano ed evangelico.
Promuove momenti di aggregazione, raccolte di fondi, intrattenimento per bambini e concerti, con la consapevolezza che essere per alcuni fedeli l’unica occasione di contatto con il mondo anglicano è insieme una responsabilità e una sfida.
Chi parla solo italiano è il benvenuto, e a tal proposito esiste una funzione religiosa settimanale in lingua italiana.
Per le foto dell’articolo si ringrazia J. T. Boardman, cappellano della chiesa di All Saints
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