Il ghetto ebraico di Roma è uno tra i più antichi del mondo. Fu istituito nel 1555, circa 40 anni dopo il primo, quello di Venezia. Il termine fa riferimento a un’antica fonderia di ferro, e precisamente alla gettata, in veneziano geto, pronunciato gheto dagli ebrei askenaziti. Il vocabolo fu così usato per indicare la zona, inizialmente di Venezia, e successivamente di tante altre città, dove venivano relegati gli ebrei.
Nel tratto che va dal Portico d’Ottavia alla Sinagoga, i due punti simbolo del ghetto di Roma, si ripercorre un cammino religioso, storico e culturale lungo secoli. Pochi altri luoghi hanno rappresentato, allo stesso tempo, la minaccia verso la propria identità e il suo ritrovamento, la persecuzione e la speranza.
Succede solo quando si coltiva la memoria.
La presenza della comunità ebraica a Roma risale all’epoca pre-cristiana. Si concentrava principalmente nelle zone di Trastevere e dell’Aventino, dove costitutiva la maggioranza della popolazione, e divenne particolarmente consistente nel ‘300, anno che vide la nascita della Contrada Judeorum ( il rione ebraico), e nel ‘400, a seguito dell’esodo degli ebrei dalla Spagna e dal Portogallo.
Le sorti della comunità cambiarono però drasticamente nel 1555, quando con la bolla Cum nimis absurdum papa Paolo IV revocò tutti i diritti degli ebrei romani e ordinò l’istituzione del ghetto. Il serraglio degli ebrei, come veniva chiamato, sorse nel rione Sant’Angelo, vicino al Teatro di Marcello, collegato al resto della città da due porte chiuse dal tramonto all’alba. Gli ebrei avevano l’obbligo di risiedere al suo interno e di portare un segno di riconoscimento, come un copricapo, di colore glauco. Veniva inoltre fatto loro divieto di esercitare qualsiasi forma di commercio tranne quello degli stracci.
La comunità ebraica venne reclusa per secoli in uno spazio ristrettissimo. Il ghetto, inizialmente di circa tre ettari, venne nel tempo ingrandito, ma con l’aumentare della popolazione rimase un luogo di costrizione, in primo luogo dei diritti.
Fu solo con la diffusione degli ideali di libertà e uguaglianza avvenuta durante le conquiste napoleoniche del ‘700, che venne riconosciuta la parità di diritti degli ebrei romani e la loro piena cittadinanza. Con l’entrata a Roma delle truppe francesi nel 1798, papa Pio VI fu costretto a lasciare la città, ma al ritorno del suo successore Pio VII, gli ebrei vennero nuovamente rinchiusi nel ghetto (1814). L’esperienza della Repubblica Romana del 1849 rappresentò un altro breve momento di libertà, ma con il suo fallimento, Pio IX ripristinò le costrizioni precedenti.
Il 20 settembre 1870 un ufficiale ebreo piemontese comandò la batteria dei cannoni che aprirono la breccia di Porta Pia. Fu la fine dello Stato Pontificio. Il ghetto tornò ad essere parte di Roma e gli ebrei divennero cittadini italiani a pieno titolo.
Il ghetto storico era compreso tra il Tevere e le odierne via del Portico d’Ottavia e piazza delle Cinque Scole. Dopo la breccia di Porta Pia vennero eretti dei muraglioni per arginare le piene del Tevere. I lavori, accompagnati da un’opera di risanamento, comportarono la demolizione di parte del ghetto e la sua ricostruzione nella zona odierna, che va dal lungotevere de’ Cenci a piazza Mattei, e da via Arenula a via della Tribuna di Campitelli.
Il cuore del ghetto è identificato col Portico d’Ottavia, eretto nell’antica Roma in onore di Giove e Giunone, e fatto restaurare da Augusto in nome della sorella. Tra le colonne del Portico, nel ‘200 venne costruita la chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, che deve il suo nome al vicino mercato del pesce. Gli scarti, fatti bollire per combattere la fame, divennero un piatto popolare oggi tra i più tipici della cucina romana, il brodo di pesce. Sulla destra del porticato, una lapide ricordava l’obbligo di consegnare alla magistratura elettiva della città ogni pesce più lungo della lapide stessa, dal lato della testa, cioè la parte migliore.
Le strade limitrofe ricordano antichi mestieri e corporazioni, come via dei Falegnami e via de’ Funari, i fabbricanti di corde. Al loro incrocio si apre piazza Mattei, che porta il nome delle famiglie cristiane che avevano le chiavi delle porte del ghetto. Nella piazza si trova l’incantevole fontana delle Tartarughe, di epoca cinquecentesca, dove l’acqua zampilla tra figure umane, delfini e tartarughe. Proseguendo si raggiunge Monte de’ Cenci, in cui sorge Palazzo Cenci Bolognetti, costruito dalla potente famiglia romana dei Cenci sulle rovine del Circo Flaminio.
In via delle Cinque Scole si trovava l’antico Palazzetto delle Cinque Scole, termine con cui si indicavano le sinagoghe, demolito con la ricostruzione di fine ‘800. Oggi il Tempio Maggiore, come viene anche definito, sorge sul confinante lungotevere de’ Cenci. Fu eretto tra fine ‘800 e inizi ‘900 in stile assiro-babilonese e Liberty, in richiamo alle antiche origini dell’ebraismo e al periodo di costruzione.
Il punto si collega idealmente con il Campidoglio, che ospita il monumento a Vittorio Emanuele II, e il Gianicolo, teatro di tante battaglie risorgimentali. Fu infatti solo dopo la breccia di Porta Pia del 1870 che gli ebrei romani vennero equiparati agli altri cittadini italiani.
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