L’opera capolavoro di Fellini ha un’interprete d’eccezione, la città di Roma.
Scene come il bagno di Anita Ekberg nella fontana di Trevi o i flash dei fotografi a via Veneto, sono impresse nella memoria di ognuno di noi e ormai pagine della storia del cinema.
Primavera del 1959. Con un regista come Fellini ed Ennio Flaiano e Pier Paolo Pasolini tra gli sceneggiatori, ‘La Dolce Vita’ ha tutte le premesse per diventare un capolavoro.
Il film, che vede i primi ciack a Cinecittà per poi trasferire il suo indimenticabile set nelle vie della capitale, doveva avere inizialmente come protagonista maschile Paul Newman, cui viene in un secondo momento preferito Marcello Mastroianni, consacrandolo definitivamente nell’Olimpo degli attori.
L’opera viene girata in sei mesi, in 92.000 metri di pellicola, e vincerà la Palma d’Oro al 13° Festival di Cannes.
‘La Dolce Vita’, tuttavia, è molto di più di un film sulla vita notturna della Roma del tempo.
E’ un film complesso e a tratti drammatico, dove Marcello, il protagonista, vive la sua carriera di reporter scandalistico scontrandosi con le sue ambizioni frustrate di scrittore, in continuo conflitto tra le sue origini provinciali e la vita nella grande città.
Ed è anche un film tragico, dove il tentato suicidio della fidanzata di Marcello stride con le avventure di quest’ultimo con Sylvia, la diva interpretata da Anita Ekberg, e dove la strage familiare culminata in suicidio dell’amico scrittore Steiner, contrasta fortemente con l’atmosfera delle feste in cui Marcello si trascina continuamente.
La sorte de ‘La Dolce Vita’, all’inizio fu però tutt’altro che facile.
La sera della prima, al cinema Capitol di Milano, Fellini venne apostrofato come ‘vigliacco comunista’, e il film definito uno ‘schifo e una vergogna’.
Le polemiche sulla stampa nazionale infuriarono, e vi furono addirittura delle interpellanze parlamentari, nelle quali si richiese la censura della pellicola ed il suo ritiro dalle sale cinematografiche per motivi di ordine pubblico.
Fellini aveva portato allo scoperto i vizi dell’Italia moralista, descrivendone i riti pagani, come il famoso bagno nella fontana, ed orgiastici, come nell’altrettanto famosa scena della festa.
Il film non solo non fu ritirato, ma venne ben presto considerato uno dei maggiori capolavori del cinema mondiale.
A‘La Dolce Vita’ va il merito di aver rappresentato l’esistenza nella sua dimensione tragica e nella sua dimensione di sogno, in cui veniamo trascinati ogni volta che tra gli spruzzi d’acqua sentiamo la voce di Sylvia sussurrare: ‘Marcello, Marcello, come here…’