Una domanda: chi è secondo te l’essere più solo al mondo? Il povero?
Sì
E invece no. È il ricco, capisci?! Il ricco è più solo perché è più raro. I poveri son tanti, tutti amici, sempre assieme… ‘sti lazzaroni che nun te fanno più campa’… Come disse Nostro Signore Gesù… Egli disse: “Beati i poveri, che se metteranno a sede alla mia destra”. Mo, se non ce fossero li ricchi che fregano li poveri, li poveri nun esisterebbero, e Gesù… quello può mica rimane’ a sede da solo… diciamo… come un povero cristo… Non so se mi spiego.
A pronunciare queste parole sono Romolo Catenacci e Gianni Perego, tra i protagonisti del film del 1974, “C’eravamo tanto amati”, diretto da Ettore Scola. Ad interpretare questi personaggi ci hanno pensato due mostri sacri del cinema italiano, ossia Aldo Fabrizi e Vittorio Gassman. La particolarità di questa commedia è il fatto che, attraverso la vicenda di tre amici ex partigiani, viene raccontata pure trent’anni di storia italiana. Il risultato è notevole ed il merito va certamente agli attori, alla regia ed alla sceneggiatura.
Tra amici dunque, Antonio (Nino Manfredi), un portantino in un ospedale, Nicola (Stefano Satta Flores), un insegnante e Gianni (il già citato Gassman), un borghese arricchito. I tre amici, nel corso del film, si incontreranno diverse volte rievocando assieme speranze deluse, obiettivi raggiunti e mancati, ideali traditi, vane illusioni. Antonio è attaccato alle sue idee, non le tradisce e lavora in ospedale ma il tutto con diverse frustrazioni. Nicola, invece, è un uomo con pretese da intellettuali e grande amante del cinema, che arriverà perfino ad abbandonare moglie e figli, per cercare fama a Roma in ambito culturale. Tenterà anche la fortuna al famoso programma tv condotto da Mike Bongiorno (apparirà nel film) “Lascia o raddoppia?”, perdendo alla fine il massimo della somma messa in palio. Gianni, infine, ha intrapreso un cammino per diventare avvocato ed è una persona piuttosto ambiziosa. Verso la fine del film, Antonio rincontrerà per caso Gianni e gli proporrà una rimpatriata con l’altro loro amico, Nicola. I tre amici si ritrovano così a cena nella stessa trattoria di tanti anni prima (“Dal re della mezza porzione”) e si mettono a parlare della loro vita, cercando di tracciarne un bilancio. Il solo dei tre che non l’ha sprecata e non se ne deve vergognare, Antonio, deciderà poi di accompagnare i suoi amici ad un presidio notturno presso una scuola dove li fa incontrare con Luciana (Stefania Sandrelli), un’aspirante attrice (questa donna aveva fatto innamorare a turno proprio tutti e tre) che, nel frattempo è diventata sua moglie, intenta a fare la coda per iscrivere i loro due figli. Successivamente Gianni perderà la propria patente. Gli altri due, con Luciana, la ritroveranno e gliela riporteranno al suo indirizzo, sorprendendolo, a sua insaputa, mentre sta per tuffarsi nella piscina della sua sontuosa villa. Il finale è amaro, in quanto scopriranno così la vita agiata che Gianni non aveva avuto il coraggio di rivelargli.
Il film è curato nei minimo dettagli. L’inizio della storia è filmato in bianco e nero per poi passare al colore nell’ultima inquadratura del primo tempo, in una scena che coincide col commiato dei tre protagonisti da Luciana, all’indomani delle prime elezioni del dopoguerra. Il saluto, però, è anche quello dei tre amici l’uno dall’altro, destinati a ritrovarsi soltanto dopo ben 25 anni. Il passaggio al colore avviene sull’inquadratura di una Sacra Famiglia dipinta sul pavimento di una piazza da un madonnaro, e raffigura la rapida e, allo stesso tempo, difficile trasformazione in atto in quel periodo di storia dell’Italia, che diventa da Paese agricolo e arretrato, un Paese industriale e, perciò, moderno.
Il film è girato a Roma e diverse sono le location che si possono riconoscere. Ad esempio la villa dell’Olgiata, l’Istituto San Michele in Piazza Tosti, la celebre scalinata di Trinità dei Monti, via Condotti, la Fontana di Trevi, Piazza di Porta San Giovanni.
Guardando “C’eravamo tanto amati” si riconosce il debito palese alla meravigliosa stagione del neorealismo cinematografico, in special modo quello di De Sica. Il fulcro del film, però, rimane quello delle speranze deluse di tre amici che si sono conosciuti ai tempi delle lotte partigiane; il tutto accompagnato dal ritratto sincero di un Paese in continua trasformazione.
Il film di Scola è certamente un’opera coraggiosa, sapientemente girata. Gli attori, è chiaro, non si discutono (qui troviamo pure una delle ultime interpretazioni cinematografiche di Aldo Fabrizi), ma il merito di averli diretti in modo così sapiente, va al regista, maestro della commedia.
Film amaro, malinconico, ma anche poetico. “C’eravamo tanto amati” è un film da vedere per capire come questo Paese sia riuscito ad arrivare fino ad ora, con tutte le sue contraddizioni, problemi, delusioni, crescite e sogni.