Dal professore di matematica Michele Apicella allo psicanalista Brezzi il passo, per così dire, è veramente lungo. Non è solo questione degli anni che dividono i due film, ma anche della distanza siderale che separa i protagonisti. “Bianca” (1984) ed “Habemus Papa,” (2011) sono assolutamente agli antipodi, pure se il regista è lo stesso. Nanni Moretti compare in entrambi i film, del primo è l’assoluto protagonista, mentre nel secondo è figura parecchio secondaria, dato che tutta la vicenda ruota attorno ai dilemmi che corrodono il neoeletto Papa (Michel Piccoli). Tuttavia, è proprio la “poetica” di Nanni Moretti ad essere cambiata, ma non è cosa assurda se si pensa che a mutare è stato anche questo Paese ed il modo stesso di fare ed intendere il cinema.
Un aspetto, però, accomuna i due film, ossia l’ambientazione. A Roma viene girato “Bianca” e, inutile dire il perché, anche “Habemus Papam”. Nell’ultimo film, la Capitale fa solo da inevitabile cornice, mentre in “Bianca” assume un ruolo maggiore. Proprio nel film girato a metà degli anni ’80, ci catapultiamo subito nella realtà dismessa e deprimente di Apicella. Costui , infatti, si stabilisce nella sua nuova casa romana e fa immediatamente la conoscenza dei vicini, la coppia formata da Massimiliano (Vincenzo Salemme) e Aurora (Enrica Maria Modugno). Il professore è, tuttavia, succube di una serie di fobie e manie. Il suo attaccamento per l’igiene è a dir poco maniacale e passa il suo tempo ad osservare (pure qui in modo eccessivo) la gente che gli gravita attorno. Apicella è comunque un uomo solo e la sua è esistenza contemplativa è dedicata all’osservazione delle persone ed al rispetto dei vari rituali, che scandiscono la sua quotidianità.
Nella scuola dove si reca ad insegnare fa la conoscenza della nuova professoressa di francese, Bianca (Laura Morante). L’uomo è attratto da lei, ma non se la sente di costruire un rapporto solido, questo perché “non è abituato alla felicità” e teme che la vita di coppia possa scardinare i suoi ritmi (assurdi) quotidiani. Parallelamente a questo avvengono dei misteriosi omicidi, che coinvolgono persone vicine ad Apicella come, ad esempio, i suoi vicini, in modo particolare, però, le coppie. Il commissario incaricato di indagare (Roberto Vezzosi) è immediatamente colpito dalle stranezze di Apicella, ma Bianca fornisce a lui un alibi. Il Professore è veramente estraneo a questi strani omicidi, oppure ha qualche legame? Quello che comunque è più importante, non è sapere il nome dell’assassino, ma proprio le dinamiche assurde che accompagnano la grigia esistenza del protagonista. Egli è impossibilitato ad amare, si toglie lui stesso questa eventualità. Apicella vuole rimanere un contemplativo, un passivo della vita, a lui gli basta criticare gli altri, magari proprio coloro che, a differenza sua, sono felici.
Moretti riprende il suo personaggio-alter ego che lo accompagnerà per quasi tutta la prima parte della carriera. Il regista mostra tutte le varie sfaccettature di Michele Apicella, i suoi deliri, le sue convinzioni, le sue stranezze e così via. Moretti, inoltre, riesce a realizzare scene memorabili. Quali? Ad esempio, Apicella tutto preso a godersi la Nutella da un barattolo gigantesco, oppure lo strambo discorso sulle scarpe:
“Ha presente quelle scarpe basse, le espadrillas? Quelle senza lacci però… Ecco, ora è diventato un fatto normale, invece anni fa c’erano alcune ragazze che le portavano scalcagnate dietro, quasi a pantofola. Ecco, questo fatto mi infastidiva: senso di sporcizia, di sfacciataggine… Ma insieme, quanto mi eccitava…”
Quindi, “Bianca” rappresenta, assieme al precedente “Ecce Bombo” (1978), l’apice creativo del primo Moretti. Successivamente, il regista sceglierà altre strade e generi diversi come, nel caso del pluripremiato “La stanza del figlio” (2001), quello drammatico. Dov’è andato a finire, allora, Apicella? Non lo ritroviamo certamente ne “Il caimano” (2006), dove l’intento è uno solo, ossia prendere di mira Silvio Berlusconi e ciò che rappresenta per il Paese. Neppure in “Habemus Papam” troviamo rimandi, seppur minimi, al suo primo cinema. Sì, giusto provare a fare cose diverse, sondare territori sconosciuti, ma ciò che si è andato, via via, perdendo, è la vivacità dei dialoghi, l’imprevedibilità e proprio le scene memorabili prima citate. Difficile trovarle oggi. De “Il caimano” si ricorderanno solo le tante polemiche scoppiate all’uscita del film, mentre “Habemus Papam” si perde in scene francamente da eliminare (la lunga ed inutile sequenza della partita di pallavolo tra cardinali) e la presenza di un personaggio inesistente (ed irritante) come quello dello psicoanalista.
Film semplici ed essenziali come “Palombella rossa” (1989), oppure i monologhi di Apicella, rappresentano l’apice creativo di Nanni Moretti. Il suo cinema migliore, almeno per chi scrive, è quello che punta tutto sui dialoghi al limite dell’assurdo, i doppi sensi, le scene grottesche, ecc…
Probabilmente oggi si fa più fatica a raccontare la realtà, anche perché è già assurda di suo. Un tipo come Apicella si perderebbe nella folla, non avrebbe forse più voce per gridare al mondo la sua infelicità esistenziale. Oppure, oggi si è realizzata la “profezia” del protagonista di “Palombella rossa” ed è forse questo l’aspetto che più preoccupa in assoluto:
“Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!”