Un film sul potere, sull’abuso di potere. Il potere in questione è quello esercitato dalla Chiesa di Roma durante il periodo risorgimentale. La Roma dei Papi, insomma. Luigi Magni decise di realizzare, in un lasso di tempo piuttosto lungo, una trilogia dedicata proprio a quel momento storico ben preciso. Questi i tre film: “Nell’anno del Signore” (1969), “In nome del Papa Re” (1977) e “In nome del popolo sovrano” (1990).
Si tratta dei tre film più conosciuti ed apprezzati del regista e sceneggiatore romano, anche perché ci recitano grandissimi attori molto amati dal pubblico. Qualche nome? Ugo Tognazzi, Nino Manfredi, Claudia Cardinale, Serena Grandi, Elena Sofia Ricci, Carlo Croccolo…
Non si può che iniziare a parlare del primo capitolo della trilogia, certamente uno dei più belli e riusciti.
Due carbonari nella Roma dei Papi. Gli adepti di questa celebre società segreta sono Angelo Targhini e Leonida Montanari che, scoperti per aver tentato di uccidere un infiltrato, saranno giustiziati mediante decapitazione. L’esecuzione venne affidata al boia dello Stato Pontificio, Mastro Titta, che esercitò quel mestiere per lungo tempo, guadagnandosi l’indiscussa e macabra fama. Ci troviamo, perciò, a Roma nel 1825 ed a governare la città vi era Papa Leone XII che, a dire il vero, non prestava molta attenzione nei riguardi delle necessità del popolo. Egli, assieme ai fedeli cardinali ed agli implacabili sbirri, opprimerà il popolo minacciandolo con la ghigliottina.La vicenda dei carbonari, una storia realmente accaduta, si interseca con storie di fantasia, in particolare le vicende sentimentali di un ciabattino (Nino Manfredi) da tutti ritenuto analfabeta e che si rivelerà invece essere, addirittura, il misterioso Pasquino, ovvero l’autore delle satire e delle invettive anonime, in cui ci si faceva carico del grande malcontento che serpeggiava nel popolo romano.
Bellissimi i costumi, la fotografia e assolutamente coinvolgente il modo di parlare romanesco dei personaggi. Perfetta poi è la ricostruzione della Roma dell’epoca e sembra proprio di trovarsi lì sul posto, respirando l’odore di quelle strade. C’è ad, esempio, il cannone che spara per il coprifuoco, le scene del patibolo, il mondo sotterraneo della carboneria, le prigioni di Castel Sant’Angelo e così via. Per non parlare poi delle musiche tutte azzeccate e belle a cura del direttore d’orchestra e compositore romano, Armando Trovajoli (sua la colonna sonora anche di altri noti film come “Brutti, sporchi e cattivi” e “Una giornata particolare” di Ettore Scola, e “Giovani e belli” di Dino Risi). Insomma, grande cinema, un cinema fatto da abili maestranze e con un cast da fare impallidire tante produzioni cinematografiche degli ultimi tempi…
In realtà, Magni voleva attori sconosciuti, o quasi, per il suo film, tuttavia la produzione, preoccupata per l’arrivo delle critiche da parte del mondo cattolico, chiese di inserire qualche volto conosciuto al grande pubblico. Da Nino Manfredi si è passati, dunque, al ricco cast prima citato; un aspetto che coinvolgerà pure gli altri film della trilogia.
“Nell’anno del Signore” venne girato in varie location, ma occorre ricordare i famosissimi studi di Cinecittà, strutture oggi in grande declino e trascurate, purtroppo, dalle istituzioni.
Il film è costruito, diciamo, sulla falsariga del genere commedia, ma questo è solo lo sfondo. Magni ha mostrato una Roma succube del potere pontificio, un popolo che, piano piano, prendeva coscienza dell’amara situazione politica e sociale. “Nell’anno del Signore” rimane una parabola sul potere esercitato dalla Chiesa in modo spregiudicato e senza nessuna cura per i bisogni del popolo. C’è sarcasmo, scene ironiche, tanto cinismo, ma anche parecchia amarezza. Simbolo del film è Pasquino, la celebre “statua parlante” di Roma, che si faceva carico del malumore popolare nei confronti del potere e delle leggi vigenti. Contro l’arroganza ed i soprusi, ecco la figura “romantica” di Cornacchia/Pasquino, splendidamente interpretato da Nino Manfredi.
Piccola curiosità: a piazza del Popolo c’è una targa alla memoria di Targhini e Montanari, i carbonari che furono decapitati dal boia Mastro Titta. Tale targa è stata lì collocata, ai primi del Novecento, da un’associazione libertaria.
Ai nostri tempi c’è Youtube, i social network, forum, ecc… Eppure manca una figura come quella di Pasquino e, forse, manca anche la genuinità tipica del popolo romano. La Chiesa non ha più quei poteri, ma anche l’anima della città è cambiata. Il potere che c’è oggi non si serve più di uno come Mastro Titta. Meglio o peggio? È proprio il caso di dirlo: ai posteri l’ardua sentenza.