Aldo Moro BR

Buongiorno, notte: tra sogno e realtà

Aldo Moro BRE’ stato scritto moltissimo sui cosiddetti “anni di piombo” e trovare idee nuove non è semplice e questo anche in campo cinematografico. Marco Bellocchio decide di prendere liberamente spunto dal libro di Anna Laura Braghetti, ex terrorista, “Il prigioniero” (1988, Mondadori). Nel 2003 ecco allora nelle sale “Buongiorno, notte”, film che vuole essere un particolare adattamento di quel libro, il tutto col talento e l’esperienza del regista di Bobbio.

Il rapimento di Aldo Moro ha rappresentato, forse, il momento più drammatico e cruciale degli “Anni di piombo”. Le Brigate Rosse sferrano un attacco micidiale allo Stato, sequestrando il leader della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, ed uccidendo gli uomini della scorta. Era il 16 marzo 1978 e 55 giorni dopo venne ritrovato, in via Caetani, il corpo senza vita del Presidente della DC. Una vicenda, questa, circondata da punti oscuri e caratterizzata, successivamente, da diverse polemiche. Lo Stato ha, in realtà, fatto qualsiasi cosa per salvare la vita di Moro? Questo, però, non vuole essere un articolo di approfondimento in merito a quel cruciale evento della vita politica del nostro Paese, ma solo una riflessione sull’opera coraggiosa di Bellocchio.
Marco BellocchioIl film, innanzitutto, è caratterizzato da un doppio livello narrativo: la narrazione dei fatti tramite filmati d’epoca ed i dubbi che si fanno strada nella mente della brigatista Chiara (Maya Sansa). Questa donna crede nell’ideologia delle Brigate Rosse e, quindi, nella rivoluzione che starebbe per compiersi, tuttavia la sua mente non smette di riflettere sulle conseguenze che una simile azione può determinare. Quindi, emergono in lei incertezze di tipo morale e sul suo effettivo ruolo di rivoluzionaria. I carcerieri di Moro (interpretato da Roberto Herlitzka) sembrano vittime di loro stessi o, meglio ancora, di un sistema che li sta utilizzando. Lo statista, invece, appare rassegnato e, nel limite del possibile, sereno. Egli riesce ad entrare nell’anima della brigatista, una donna che tiene vicino le opere di Marx ed Engels, come pure le “Lettere dei condannati a morte della Resistenza”. Tali lettere simboleggiano il medesimo dramma che accomuna le azioni dei brigatisti con gli assassini dei partigiani. Uno dei momenti più forti di “Buongiorno, notte” è, senza dubbio, un sogno nel quale Chiara rivede alcune esecuzioni di partigiani, associando il tutto alla vicenda di Moro. E gli altri, i cittadini? Il clima soffocante degli “anni di piombo” ci viene raccontato anche attraverso la gente sugli autobus, o gli studenti nell’università. Si respira atmosfera pesante e Bellocchio decide di accompagnarla con musiche di gran pregio e suggestione: Giuseppe Verdi, Franz Schubert, Jacques Offenbach e Pink Floyd. Il film è girato, inevitabilmente, a Roma, città simbolo del potere politico ma, allo stesso tempo, anche vivace, contraddittoria e passionale. La Capitale continua la vita di sempre, mentre nel covo di via Montalcini, il Presidente della DC vive i giorni di prigionia, gli ultimi giorni della sua vita.
In risalto l’umanizzazione degli altri brigatisti (interpretati da Luigi Lo Cascio, Giovanni Calcagno e Pier Giorgio Bellocchio). E’ bene sottolinearlo, il film di Bellocchio non è opera di denuncia e non presenta nessun tipo di tesi ideologica; il tutto viene narrato attraverso gli occhi di Chiara. La cronaca di quei giorni viene, diciamo, piegata alla poetica del regista.
Bellocchio, perciò, si appropria della tragedia che ha coinvolto Moro e il Paese e ne ha tirato fuori un film coerente con le scelte stilistiche tipiche della sua filmografia. “Buongiorno, notte” è stata concepita come opera del “ribaltamento”. Non c’è vera e propria ricostruzione storica dettagliata, bensì ritratto psicoanalitico, per così dire. Il leader della DC ci viene presentato come persona dotata di una definita umanità, lontana dagli stereotipi classici del politico. Il sogno, la componente onirica, prende piano piano il sopravvento rispetto al reale. Moro libero che cammina per le strade è qualcosa che appartiene solo al sogno, la realtà è decisamente più cupa. Del resto, gli “anni di piombo” sono stati momenti caratterizzati da un sovrapporsi di sogno (le utopie dei brigatisti) con la realtà (le stragi, le tante azioni violente). Bellocchio ne ha voluto parlare proprio con questo film che, tuttavia, non è riuscito a portarsi a casa il Leone d’Oro, il massimo riconoscimento della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Tutto ciò ha provocato polemiche, che hanno coinvolto lo stesso regista, il quale ha manifestato apertamente la propria delusione, e Rai Cinema, in veste di produttore del film.
Non è facile vincere dei premi (vanno ricordati, però, alcuni riconoscimenti ottenuti, nel 2004, al David di Donatello ed al Nastro d’argento) con un tema simile e con una struttura narrativa di questo tipo. Probabilmente Bellocchio non perdonerà mai i giurati presenti a Venezia in quella 60ª edizione, ma a lui va il merito di aver voluto percorrere un terreno accidentato, non rinunciando al suo stile, al suo modo di intendere la regia e il cinema. Già solo per questo meriterebbe un premio prestigioso, un premio all’onestà intellettuale…

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