Chi tutti i giorni si reca al lavoro, a scuola, o all’università e decide di prendere il bus 93, oppure il 310, difficilmente farà caso ai palazzi Federici, case popolari realizzate negli anni Trenta e situate lungo Viale XXI aprile. Non si tratta, chiaramente, di un monumento importante o sede, magari, di qualche ambasciata. Eppure, hanno avuto un ruolo non indifferente in un bellissimo film di Ettore Scola, “Una giornata particolare” (1977), con protagonisti due tra i più grandi attori della storia del cinema italiano, ossia Sophia Loren e Marcello Mastroianni.
Questo film è, infatti, stato girato in gran parte in interni e, precisamente, in uno di quei palazzi di Viale XXI aprile. Scola ha dimostrato proprio il suo attaccamento per quello stabile, anche perché vi ha voluto girare un altro dei suoi film, “Romanzo di un giovane povero” (1995), con protagonista stavolta Alberto Sordi, altro monumento del nostro cinema.
La maggioranza delle scene più importanti di “Una giornata particolare”, sono state girate proprio qui. I protagonisti si conoscono in un palazzo quasi deserto, questo perché è il 6 maggio del 1938, giorno della visita di Adolf Hitler a Roma.
Chi sono, precisamente, i protagonisti del film? Antonietta (la Loren recita in modo splendido) è sposata con un impiegato fervente fascista (John Vernon) ed ha ben sei figli. La sua però è una vita grama, triste, senza emozioni e, aspetto forse più pesante, è succube del marito. Gabriele (Mastroianni riceverà la nomination come “Miglior attore protagonista” agli Oscar del 1978) è, invece, uno speaker radiofonico colto e lontano dai valori del fascismo. I due, dunque, si incontrano e passano diverso tempo assieme anche perché, come già è stato detto, non c’è quasi nessuno nel palazzo (la maggior parte delle persone ha deciso di recarsi, infatti, alla parata in onore di Hitler) e ciò rende ancor più particolare l’atmosfera che si respira per tutta la durata del film. Antonietta è immediatamente rapita da questa persona così diversa dal marito e dalla gente con cui ha rapporti nel quotidiano. La donna vede in lui un modo per fuggire dalla vita triste a cui sembra essere destinata e cerca, perciò, di sedurlo.
Tuttavia, Gabriele resiste e deve confessare la sua omosessualità, che è poi stata la vera causa scatenante del licenziamento dalla radio di Stato. Antonietta all’inizio la prende a male e, addirittura, schiaffeggia l’uomo che, invece, le rinfaccia l’insistenza nel volerlo sedurre a tutti i costi. Poco dopo tra i due prende vita un sentimento solidale, questo perché sono entrambe persone sole, che vivono un’esistenza grigia e sono succubi, anche se con modalità diverse, del regime fascista. Un futuro difficile, per non dire drammatico, attende i due personaggi e ciò non può che provocare emozioni nello spettatore, anche perché l’interpretazione dei due attori è a dir poco straordinaria.
Ettore Scola realizza, senza dubbio, uno dei suoi film più belli (occorre ricordare anche “C’eravamo tanto amati” del 1974 e “Brutti, sporchi e cattivi” del 1976) ed il merito è pure dei suoi collaboratori, primo fra tutti Ruggero Maccari, che si è occupato, assieme a Maurizio Costanzo, della sceneggiatura.
Da notare come, per quasi tutta la durata del film, gli apparecchi radiofonici risultino accesi nei vari appartamenti. Si può ascoltare, infatti, il commento del radiocronista riguardo alla visita di Hitler, che occuperà gran parte della giornata.
Un film, dunque, perfetto sotto tutti i punti di vista, che ben fotografa Roma e l’Italia di quel preciso momento storico. Una città intera, un Paese intero, che stava scivolando nel dramma e ciò è anche ottimamente rappresentato dalla tragedia interiore dei due protagonisti. Antonietta e Gabriele sono, difatti, dilaniati da una passione condannata a non avere sbocchi, da una vita altrettanto misera e, almeno sulla carta, senza troppe prospettive future. Cosa ne sarà dei due personaggi infelici? La storia, purtroppo, avrà un suo peso non indifferente su di loro, vittime sacrificali di una follia collettiva. Entrambi, infatti, sono vittime di un regime e di un pensiero prevalente, che non permette “diversità” e che considera la donna come strumento per mettere al mondi figli e badare al focolare domestico. Scola riesce ad esprimere tutto questo con una forza enorme, con inquadrature che rimangono bene impresse nella mente (ad esempio, i due mentre piegano un lenzuolo nella scena della terrazza).
Forse il senso ultimo del film lo possiamo cogliere in questa frase pronunciata da Gabriele al suo compagno: «Eppure ci dovrei essere abituato, fin da ragazzo, o isolato o solo! Che poi… è la stessa cosa. Ma certo che conti! Solo che è tutto così assurdo. Secondo loro dovremmo sentirci in colpa. Oggi stavo… come si dice… stavo per commettere una sciocchezza. Mi ha salvato l’arrivo di una che abita qui vicino. No, è sicuro, la vita, qualunque sia, vale la pena di essere vissuta, si dice così. E poi arriva sempre un pappagalletto a ricordarcelo. Solo che oggi per me è una giornata particolare, lo sai?»
Un esempio, questo, di come sia possibile, anche da vittime, non piegare il capo davanti agli orrori della Storia e guardare alla vita con speranza.