“- Che te sei giocato, Manzotin?
– A Pomata, quante volte te devo di’ che nun me chiamo Manzotin? Me chiamo Rinaldi Otello!
– Sì, tre chili de trippa e due de budello! Co’ quer nome giusto er macellaro potevi fa’!”
“- Ah rega’, parlamo come un cavallo stampato. Ma poi io che leggo a fa’, che leggo a fa’, c’ho tutto qui nella capoccia, so’ un computer equino, a me me dovrebbero da’ ‘na laurea in scienze del cavallo.”
La prima citazione riguarda un dialogo tra il disoccupato truffaldino Er Pomata e “il burino più infame di tutti i burini”, ossia il macellaio Manzotin. La seconda, invece, è esternazione dello stesso Er Pomata. Già da questo si può capire che siamo davanti ad individui non proprio raffinati e con un livello culturale piuttosto modesto. Stesso discorso lo si può fare per Mandrake, l’uomo dal “sorriso magico” e per Felice, un parcheggiatore abusivo. Tuttavia, ha forse ragione Er Pomata, perché loro potrebbero benissimo ottenere una laurea in “scienze del cavallo”, proprio a causa di una passione viscerale per le scommesse ippiche. Non servono altri dettagli per intuire che si sta parlando dei personaggi di “Febbre da cavallo”, un film del 1976 e diretto da Steno.
A rendere celebri questi simpatici scommettitori, ci hanno pensato alcuni tra gli attori italiani più amati dalla gente, ovvero Gigi Proietti ed Enrico Montesano. Oltre a loro, occorre segnalare anche la presenza dell’attrice francese Catherine Spaak e di uno degli attori che ha maggiormente contribuito al successo della commedia all’italiana, eppure sempre poco considerato dalla critica, cioè Mario Carotenuto.
All’inizio nessuno credeva in un possibile successo della pellicola, mentre oggi è considerata a tutti gli effetti un cult della commedia all’italiana ai confini col trash. Le peripezie di Mandrake, Er Pomata e Felice, non possono che farci sorridere, a causa della grande ingenuità dei loro comportamenti e, soprattutto, per le battute esilaranti presenti in tutto il film.
Le situazioni paradossali non mancano, basti pensare al continuo senso di colpa che colpisce Mandrake, impedendogli di portare a termine i rapporti sessuali con la fidanzata Gabriella (Catherine Spaak). La donna è esasperata, anche a causa del grosso sperpero di denaro, causato dalle ripetute sconfitte ai cavalli del compagno e decide, quindi, di rivolgersi ad una cartomante (Maria Teresa Albani), che consiglia di giocare una Tris.
Alla fine, questi sfortunati amici finiranno in tribunale e qui arriva il momento forse più esilarante, perché si verrà a scoprire che pure il giudice (Adolfo Celi) è uno scommettitore incallito. Tutti verranno assolti e Gabriella, che segretamente aveva giocato quella Tris, finirà per sposare Mandrake. Tutto, dunque, potrà tornare come prima, anche se il gruppetto di amici si allargherà con la presenza dello stesso giudice.
Le vicende si svolgono tra il cuore di Roma e l’ippodromo di Tor di Valle e, probabilmente, senza queste perfette location, il film non sarebbe stato così tanto amato. Non può mancare oggi un pizzico di nostalgia per quella Roma che non c’è più, per quei personaggi “romantici” senza pretese, ma genuini.
Il successo del film porterà ad un sequel, “Febbre da cavallo – La mandrakata” (2002), questa volta diretto da Carlo Vanzina. Qui troviamo i soliti personaggi come Mandarke e Er Pomata, ma anche dei nuovi come Micione (Rodolfo Laganà) ed Aurelia (Nancy Brilli). Diversi sono i punti in comune con il primo film, tuttavia le battute risultano abbastanza prevedibili ed a tratti forzate. Certo, non siamo ai livelli di altri sequel a dir poco orrendi come, ad esempio, “L’allenatore nel pallone 2” (2008), ma si po’ dire addio all’atmosfera originale, anche perché il modo di girare dei nostri tempi, non è proprio il medesimo degli anni ’70. Ogni cosa è mutata ed oggi quel tipo di comicità può risultare, forse, datata. Ed è un peccato, perché quella comicità lì non era volgare, ma genuina, come anche i romani del periodo.