Totò e Ninetto Davoli, padre e figlio, tra le pieghe della macchina da presa di Pierpaolo Pasolini che racconta di quegli “Uccellacci Uccellini” per i quali “Il cammino comincia e il viaggio è già finito”.
Al volto di un personaggio estremamente umano, di una persona “media”, quale Totò, nel film di Pierpaolo Pasolini si intrecciano immagini di una Roma, anni ’60, dove tra edifici barocchi e rinascimentali, e periferie, e borgate si stagliano, testimonianza di un epoca medievale, torri, case diroccate, chiese e i resti di antichi castelli.
Primavera 1965, il padre e il figlio, che camminano sulle strade assolate e impolverate della periferia romana, a simboleggiare tutta quell’umanità avviata verso l’ignoto, divenendo uccellacci quando bistrattano gli insolventi e uccellini quando sono cacciati, a loro volta, da due grossi cagnacci. E sullo sfondo Roma. Una Roma poco nota e poco ricercata. Una Roma di gente semplice, di un popolo che vive “alla giornata” di espedienti e di povertà. Eppure in questa Roma c’è spazio per una storia e per delle immagini, rubate nel silenzio di periferia, dove l’asfalto non è ancora arrivato e il cemento non ha ancora edificato. Pilastri e casermoni , ponti e ferrovie sono là, sullo sfondo, lontani nelle immagini impresse sulla pellicola di Uccellacci Uccellini di Pierpaolo Pasolini.
In quella primavera del 1965, a causa di una frana al km 3.083 della Statale 201, oggi Autostrada Roma-Fiumicino, l’ANAS sospende i lavori e nel cantiere deserto e polveroso Pierpaolo Pasolini dirige Totò, Ninetto Davoli e un corvo in alcune scene del film Uccellacci Uccellini. Proprio in seguito al ripristino dei lavori su quel tratto della Statale 201 si giunge alla scoperta archeologica del Balneum degli Arvali: un impianto termale alimentato forse, 18 secoli prima, dalle stesse acque all’origine della frana.
Le immagini si susseguono per le strade della periferia romana. Totò e Ninetto Davoli incontrano una poverissima famiglia di contadini che non riescono a pagare l’affitto, a Villa Kock. A seguire la scena del suicidio dei due amanti a Monte delle Capre. Fino a giungere alla sequenza, con il paesaggio lunare di Montecucco, girata a Torre Righetti, che si apre sull’Eur. Un quartiere moderno e in crescita, simbolo del futuro contrapposto a una periferia legata a un passato simboleggiato da Torre Righetti. Un casino di caccia del 1825, di cui rimangono il corpo centrale in laterizio e il basamento circolare in pietra. Aveva forma di un tempietto circolare, secondo la moda neoclassica del Valadier.
Ma a questo punto il film evolve come la vita del corvo verso il finale. Il corvo ha terminato il suo ruolo di guida e il suo gracchiare diventa fastidioso e insopportabile tanto che finisce sul banchetto ristoratore di Totò e Ninetto. “È questo – secondo un Pasolini tragicamente profetico – il compito più alto del poeta: morire per nutrire il popolo. L’assassinio rituale finisce così per indicare nella tolleranza fra le classi e nell’ascolto della parola dei poeti la via per uscire dal caos sociale. Continuate – confida idealmente il poeta regista – a predicare ad uccellacci ed uccellini.
Oggi, la Roma immortalata dalla macchina da presa di Pasolini nelle scene di Uccellacci Uccellini è ancora lì, non si è spostata di un solo centimetro ma è quasi irriconoscibile. Il cemento ha rosicchiato metro dopo metro ettari di verde, l’asfalto ha avvicinato quartieri e periferie, il moderno ha surclassato l’antico e certe immagini, certi ricordi, in bianco e nero, sono impresse oramai solo su antiche pellicole.