A Roma c’è un quartiere che parla. Racconta di fiabe e di realtà. Racconta del presente e del passato. E lo fa in stile neoclassico e barocco, gotico e rinascimentale. E Dario Argento ne sa qualcosa.
Ci sono fontane, villini, palazzi, ognuno diverso dall’altro, ricche decorazioni piene di suggestioni simboliche. E poi, personaggi, marmi, loggiati, fregi multicolori, archi, terracotte, immagini medievali e vetrate ad agghindare eleganti e bizzarre costruzioni. Angoli belli da vedere che l’occhio della macchina da presa di Dario Argento ha memorabilmente immortalati in alcuni dei suoi film più famosi.
E’ un quartiere che si trasforma: le notti diventano particolarmente suggestive, e quando l’unico rumore è quello di qualche foglia per terra spostata dal vento mentre la nebbia d’autunno avvolge come in un velo le vie, lo scenario muta e i visitatori diventano protagonisti e spettatori cinematografici. Un brivido, forse, corre lungo la schiena a paventare quello che si nasconde dietro le finestre di quei palazzi chiusi e stipati da possenti persiane. Si rasentano i muri e si cammina facendo attenzione ai rumori. L’orecchio è teso. Alt! Un istante. E’ vero, siamo nel quartiere Coppedè, un’area del quartiere Trieste, voluto e creato, in tutta la sua bellezza dall’architetto Gino Coppedè, ma non siamo tra le pieghe di uno dei film di Dario Argento.
Il regista ha scelto più volte di catturare immagini e creare sequenze, tra le belle vie e in alcuni dei palazzi di questo quartiere, per raccontare storie. Per raccontare le sue storie, mentre, lo spettatore vive, sente, vede, e percepisce l’alchimia del posto. Il quartiere Coppedè è stata la location d’eccezione per due delle pellicole più famose del regista romano: Inferno (1980) e L’uccello dalle piume di cristallo (1970).
La vita del quartiere è un mistero. Non ci sono nomi sui campanelli. Non si riesce a vedere nulla dalle recinzioni di ferro che sovrastano i già alti muretti. Location adatta per il genere horror.
In giro si dice che Dario Argento abita in zona così come si dice che sono proprio le sue mani a uccidere, nei film. Ed ecco una prima immagine: proprio in una di queste strade Tony Musante sfiora la coltellata in L’ uccello dalle piume di cristallo.
E poi lo sguardo va alla ricerca del palazzo delle scene di Inferno che nel film diventa quasi un organismo vivente, pieno di trabocchetti, di scale che si incrociano, di sotterranei, appartamenti e sottoappartamenti. Un labirinto o forse una scatola cinese. Il palazzo si trova in Piazza Mincio e mentre con gli occhi si osserva la bellezza imponente della costruzione, la mente rincorre con un brivido le ultime battute del film: “Tu non te ne andrai…la fine del tuo viaggio è vicina…tutto intorno a te diventerà buio, allora ci sarà qualcuno che ti condurrà per mano e ne sarai lieto. Non devi aver paura. […] Gli uomini ci chiamano con un nome solo: la morte!” . A questo punto diventa quasi difficile staccarsi dalla pellicola e ritornare alla realtà.
L’ingresso principale del Quartiere Coppedè, è dal lato di via Tagliamento, ed è segnato da un grande arco che congiunge due palazzi. Sotto l’arco, oltre a due balconi, si trova un grande lampadario in ferro battuto. Ma questa volta è notte. E’ buio. E la luce disegna strane sagome sui muretti di cinta e sui palazzi. Sembrano scene già viste. E’ Dario Argento che dirigere ancora e per un solo atto scene di vita sospese tra la realtà e la finzione. Questa volta i ricordi si amalgamano all’ idea che il male e il cinema sono la stessa cosa, superfici scintillanti dietro le quali non c’è niente. Il mistero, come la profondità, non è altro che un continuo emergere di nuove superficie. E a voler parafrasare un antico detto francese “Coppedè, val bene una visita!”…magari, al chiaro di luna.
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