E’ il ritratto di un paese e di un’epoca, La dolce vita. Federico Fellini ruba gli scatti di un’Italia che non ha tempo di mettersi in posa. I ritratti sono senza veli. Viene alla luce uno stile di vita nascosto fino ad allora dietro la coltre del moralismo, e scoppia lo scandalo. Il film rompe ogni schema precedente, tanto che per definirlo è necessario un nuovo aggettivo: felliniano.
Il regista sceglie Anita Ekberg e Marcello Mastroianni come interpreti principali. Il copione invece, si sviluppa in corso d’opera, dando origine a una struttura narrativa innovativa, dove gli scatti dei personaggi e delle loro storie diventano l’album di una vita.
Anita Ekberg che fa il bagno nella fontana di Trevi e l’apparizione della Madonna, spogliarelli e stragi familiari. Fellini trasferisce in una dimensione pubblica quello che era sempre rimasto nel privato.
Il sacro e il profano, la realtà e l’illusione, il sogno e la tragedia abitano ora nello stesso mondo. Tutti diventano interpreti d’eccezione del film italiano più famoso al mondo.
Due elicotteri volteggiano nel cielo di Roma. In uno viene trasportata la statua di Cristo, nell’altro viaggiano Marcello, Paparazzo e un altro fotoreporter. Sorvolano l’acquedotto Felice, dei quartieri, e i tanti cantieri edilizi che stanno cambiando il volto della capitale. Volano infine sopra una terrazza dove quattro ragazze in costume prendono il sole, per dirigersi verso piazza San Pietro tra le campane che suonano.
Il viaggio nel sacro e nel profano è cominciato. Ad accompagnarci, è Marcello Rubini (Marcello Mastroianni), giornalista di gossip dalle ambizioni letterarie mai realizzate e perennemente circondato da uno stuolo di fotografi.
E proprio da scatti fotografici sembra nascere La dolce vita: dalla statua di Cristo che pende dall’elicottero alla vita mondana nei night club, dall’arrivo a Roma della diva Sylvia Rank (Anita Ekberg) al tentato suicidio della fidanzata Emma, dall’apparizione della Madonna a dei bambini alla tragedia familiare dell’amico Steiner, che si suicida dopo aver ucciso i due figlioletti.
Sono scatti immediati, dove non c’è posa. La dolce vita si distacca dallo stile neo-realista classico, ma nel suo attraversare Roma, dal cuore della città alle borgate, ritrae un mondo babelico e allo stesso tempo reale.
Fellini mette in scena la crisi e la decadenza dell’aristocrazia romana. I suoi personaggi, mostruosi e tristi come le bestie di un circo, vivono in una trasgressione che annoia loro e scandalizza chi non fa parte di quel mondo. E’ una vera rivoluzione. La telecamera si accende su vizi e malcostume. Lo schermo rimanda l’immagine di una realtà fino a quel momento rimasta tabù.
Anita Ekberg che gira per Roma e l’improbabile apparizione della Madonna in periferia, sono le due facce del sacro e del profano di un paese in bilico tra tradizione e rottura. Gli spogliarelli, che oggi sembrano piuttosto casti, misurano la crescente temperatura dei costumi sessuali, mentre la strage familiare di Steiner, viene definita inaccettabile.
Le scene causano grande scandalo, ma in esse vi è tutta l’anticipazione del mondo mediatico di oggi.
La vita reale non è così dolce, e finisce per lasciare l’amaro in bocca a tutti, anche a Marcello : “Io sto perdendo i miei giorni. Non combinerò più niente. Una volta avevo delle ambizioni, ma forse sto perdendo tutto”.
I film di Fellini sono quanto di più lontano possa esistere dal genere documentaristico, ma è impossibile non cogliere similitudini con diversi fatti di cronaca del tempo, come testimoniano alcuni titoli di giornale: ‘Cristo in elicottero’, ‘Una folla innumerevole attese invano la Madonna’, ‘La notte turca di Roma’.
Attraverso uno stile visionario e dei personaggi quasi circensi, il regista filma degli interni molto diversi dalla facciata. Il risultato è una realtà che si può definire solo con un termine: felliniana. E che per molti è inaccettabile.
La dolce vita viene proiettata in prima nazionale al cinema Capitol di Milano il 3 febbraio 1960. Contro Fellini vengono arrivano fischi e sputi, oltre che le accuse di essere l’autore ‘vigliacco e comunista’ di un film che è ‘uno schifo e una vergogna’.
La pellicola è oggetto di due interrogazioni parlamentari. Il regista, che in un solo giorno riceve 400 telegrammi di insulti, alla fine viene scomunicato dal Vaticano.
Lo stesso anno La dolce vita vince la Palma d’oro al Festival di Cannes, e Fellini quello come miglior regista al David di Donatello. Seguono, nel 1961, 3 Nastri d’Argento: come miglior attore protagonista per Mastroianni, miglior soggetto originale e migliore scenografia. Nel 1962 viene assegnato il Premio Oscar per i migliori costumi.
Critiche positive arrivano da parte di Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini. Quest’ultimo parla de ‘il più alto e più assoluto prodotto del cattolicesimo’.
Fellini dichiara di aver esposto un problema come artista. La soluzione spetta ai ‘pastori di anime’ e ai ‘riformatori della società’.
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