«L’impulso era diventato irresistibile. C’era una sola risposta alla furia che lo torturava. E così commise il suo primo assassinio. […] Aveva infranto il più profondo tabù e non si sentiva colpevole né provava ansia o paura, ma libertà. […] Ogni ostacolo umano, ogni umiliazione che gli sbarrava la strada, poteva essere spazzato via da questo semplice atto di annientamento: l’omicidio.»
A pronunciare queste parole è lo stesso regista, Dario Argento, voce narrante del film del 1982, “Tenebre”. Tale voce legge un passo tratto dal romanzo “Tenebrae” di Peter Neal, scrittore americano di gialli e protagonista proprio di questo film, che segna il ritorno di Argento al genere thriller quello, per intenderci, de “L’uccello dalle piume di cristallo” (1970) e “4 mosche di velluto grigio” (1971). Un ritorno, questo, certamente positivo, perché il regista ha ancora diverse idee, intuizioni che, purtroppo, inizierà a perdere a partire da “Trauma” (1993).
“Tenebre” è un thriller a tutti gli effetti e nulla manca, a partire da un ottimo lavoro riguardante la fotografia e, ovviamente, da una regia ancora una volta impeccabile. Ma di cosa parla questo “Tenebre”?
Il film inizia con una tremenda catena di omicidi che, per la loro modalità, si collegano all’ultimo libro di Peter Neal (Anthony Franciosa), il già citato “Tenebrae”. L’ispettore di polizia Germani (Giuliano Gemma), intanto, riesce a cogliere bene il collegamento con lo scrittore: oltre alle pagine del romanzo, ha trovato sul luogo del delitto anche una busta indirizzata allo stesso Neal e contenente un messaggio piuttosto criptico. Tra scene violente, indizi disseminati qua e là, svariati momenti di tensione, si arriva ad un finale a sorpresa, che è forse il punto di forza dell’intero soggetto (ovviamente non verrà qui rilevato, proprio per la sua importanza e per rispetto di coloro che non avessero avuto ancora il modo di vederlo).
Dario Argento, quindi, realizza un film degno di nota, che di certo non sfigura rispetto al precedente “Inferno” (1980), secondo capitolo della cosiddetta “Trilogia delle Tre Madri”. Il regista, ripetiamo, abbandona l’horror soprannaturale per tornare su territori che lui conosce, del resto, molto bene. A fornirgli lo spunto per “Tenebre” è stato, come lui stesso ha rilevato, un triste episodio che lo ha visto coinvolto, ossia quando un suo accanito ammiratore ha iniziato a perseguitarlo con telefonate, fino ad arrivare a minacce di morte. Tutto, alle fine, si è rilevato fortunatamente nulla di più che uno scherzo di pessimo gusto, ma nella mente di Argento è iniziato a prendere vita il soggetto di “Tenebre”.
Per quanto concerne le location esterne, il regista decide di puntare sulla Capitale, in particolare l’Eur, tuttavia possiamo riconoscere con una certa facilità la Rinascente di Piazza Fiume, mentre la scena dell’omicidio dell’agente letterario Bullmer è stata, invece, girata al centro commerciale “Le Terrazze” di Casal Palocco.
Da segnalare poi la presenza di Daria Nicolodi (già presente in vari film di Argento) nel ruolo di Anne, l’assistente dell’agente Bullmer, di Eva Robin’s che compare nella scena onirica nel ruolo dell’oggetto del desiderio dell’assassino (il flashback è, di certo, un altro momento molto interessante del film, oltre che essere pure piuttosto inquietante).
I critici hanno accolto piuttosto bene il film ed alcuni hanno sottolineato l’importanza dei colori (tutta l’ambientazione è contraddistinta da una ricerca del bianco e della luce, capace di far risaltare al meglio il rosso del sangue) ed il voler mettere bene in evidenza, da parte di Argento, il divario fra l’evidente luminosità (parecchie scene sono, infatti, ambientate di giorno, o in interni molto illuminati) del mondo esterno e l’oscurità del crimine efferato.
“Tenebre”, però, ha dovuto subire diversi tagli, in particolare per la versione da trasmettere in tv, e questo a causa delle diverse scene violente disseminate per tutto il film; mentre nelle sale uscì con il divieto della visione ai minori di 18 anni.
Qualcuno poi è arrivato pure a contare gli omicidi qui presenti: ben 12 i morti, un dato che va ad accostarsi al “record” stabilito dal film del 1971, di Mario Bava, “Reazione a catena” (Argento in questo film ha, come assistente di regia, proprio il figlio di Bava, Lamberto).
Un aspetto di non poco conto è quello della recitazione in inglese di gran parte degli attori. Il motivo è questo: il voler cercare il successo internazionale, specialmente negli Stati Uniti.
Argento è riuscito a realizzare un ottimo film sulla scia di un genere fortunato come quello del “detective story”. Tutto ciò, però, senza tralasciare i momenti efferati e sangue a volontà.
Cosa ci può lasciare un film come “Tenebre”? La morale, se così la si può definire è questa: l’Arte diviene vita, rivelando la sua essenza di vita sublimata. E sarà proprio lo scrittore Neal a fornirci un’altra bella chiave di lettura, un motivo di riflessione, seppur abbastanza inquietante:
«Ho riflettuto su questa storia e ne ho ricavato la sensazione che manchi qualche cosa… C’è come una contraddizione. È morto qualcuno che dovrebbe essere vivo ed è vivo qualcuno che dovrebbe essere morto. In un suo libro, “Il mastino dei Baskerville”, Conan Doyle scrive, mi pare: «in un’indagine, eliminato l’impossibile, quello che rimane – per quanto sembri improbabile – deve essere la verità». E l’impossibile, nel nostro caso, è che questa catena di delitti sia priva di senso. Ne “Il mastino dei Baskerville”, l’impossibile era che esistesse un mastino fantasma. L’improbabile in questo caso, come nel libro, è altrettanto strano, inimmaginabile, ma possibile… E dobbiamo scoprirlo. La verità è sempre possibile.»