La sua storia può essere suddivisa in due parti: la prima dall’esordio col lungometraggio, “L’uccello dalle piume di cristallo” (1970), la seconda da “Trauma” (1993) fino ai nostri giorni. Tirando le somme notiamo grandissimi film nella prima parte della carriera, un declino spaventoso nell’ultima. Per poter spiegare meglio tutto ciò, non servono chissà quali teorie di critica cinematografica, o addirittura esistenziali, bensì comparare due film: “Inferno” (1980) e “La terza madre” (2007). Del secondo film abbiamo già parlato, mentre di “Inferno” si potrebbe azzardare a dire che si tratterebbe di un film diretto da altro regista che di nome fa comunque Dario Argento. Eppure, del medesimo regista si tratta, purtroppo.
“Inferno” è il secondo capitolo della cosiddetta Trilogia delle Tre Madri (il primo è “Suspiria” del 1977, mentre l’ultimo è il già citato “La terza madre”), incentrata sulla triade di antiche e malvagie streghe, che con i loro poteri possono arrivare a manipolare gli eventi del mondo su scala globale, seminando comunque morte e distruzione.
In “Inferno” troviamo Mater Tenebrarum, la cui casa si trova a New York (è stato l’architetto italiano Emilio Varelli ad occuparsi della costruzione delle dimore delle streghe, precisamente a Friburgo, Roma e New York). Ed è proprio una poetessa newyorkese, Rose Elliot (Irene Miracle) ad acquistare un libro antico intitolato “Le Tre Madri”, scritto da Emilio Varelli, l’architetto alchimista di cui si sono perse le tracce. Questo testo racconta l’incontro di Varelli con le tre Madri: Mater Suspiriorum, la Madre dei Sospiri, Mater Lacrimarum, la Madre delle Lacrime e Mater Tenebrarum, la Madre delle Tenebre. La donna inizia ad aver paura, perché capisce di abitare nella casa di New York dove vivrebbe una di queste streghe. Rose inizia così a perlustrare il suo palazzo, scoprendo nei sotterranei un pozzo dentro il quale le cade il portachiavi (questa è una delle scene più riuscite del film). Rose cerca, quindi, di riprenderlo immergendosi nell’acqua, tuttavia vi scopre che il pozzo nasconde un grande appartamento completamente sommerso, nel quale rinviene un corpo decomposto. La donna finirà per essere uccisa e la scena si sposta poi a Roma (il film è stato girato prevalentemente nei teatri di posa di Cinecittà, mentre il palazzo di New York si trova in piazza Mincio) dove abita Mark (Leigh McCloskey), il fratello di Rose, aspirante musicista e studente che, preoccupato per una strana lettera ricevuta proprio dalla sorella, decide di recarsi a New York. Nel frattempo, sempre a Roma, Sara (Eleonora Giorgi), una ragazza amica di Mark, che aveva letto la lettera dimenticata dal ragazzo, ed un suo vicino di appartamento, Carlo (Gabriele Lavia), vengono brutalmente uccisi da un’entità malvagia. Per Mark sarà l’inizio di un incubo, perché avrà occasione di capire che Rose non era preda di visioni assurde e la realtà, in questo caso, supera l’immaginazione. Uno degli gli abitanti dell’inquietante palazzo di Rose, il Dott. George Arnold (Feodor Chaliapin Jr.) costretto su di una sedia a rotelle, si rivelerà essere l’architetto Varelli, colui che ha costruito la dimora di New York, proprio dove viveva Rose ed in quel palazzo risiede la perfida Mater Tenebrarum, personificazione pure della Morte stessa. Come finirà?
Ed allora cosa può essere accaduto a colui che ha diretto un gioiello come “Profondo rosso”? Probabilmente le idee sono finite e ci si ostina a voler osare anche su terreni difficili (ricordiamo il disastro de “Il fantasma dell’Opera” del 1998), oppure si tenta di tornare a determinate atmosfere da thriller, ma con risultati mediocri (“Giallo” del 2009). Ed adesso il regista è pronto a mostrarci il suo “Dracula” in 3D, tuttavia si ha l’impressione che quasi nessuno creda nel miracolo, quindi un film girato come si deve e, soprattutto, caratterizzato dal tocco di regia tipico dei bei tempi.
Dario Argento dovrebbe allora guardare indietro, ripercorrere mentalmente la sua carriera e tirare le somme. Continuare a farsi del male è tutto tranne che positivo. Le idee o ci sono, oppure non ci sono più. Farsene una ragione, ecco.