Filastrocche per bambini, poesie e un romanzo. Tre anni per quattro libri. Un poeta e un scrittore. A Sergio Cellucci, dai natali capitolini, non manca certamente l’estro e la musicalità. Con l’uno crea emozioni e con l’altra rende armonia e ritmo a tutto ciò che lo circonda. Le sue emozioni trascritte, nero su bianco, travalicano le tenue tinte dell’arcobaleno assumendo altre sfumature e altri colori. E la sua armonia regala ordine e simmetria in un tempo breve e veloce. Il passaggio dalla poesia alla scrittura per lui è breve: “non bisogna neanche cambiarsi d’abito”.
Come nasce il poeta e lo scrittore Sergio Cellucci?
Per scrivere devi avere qualcosa da raccontare e la sensibilità per farlo nel modo giusto e da quando mi conosco la sensibilità ha sempre fatto parte di me. Con la mia nascita è nata una poesia (siamo tutti poesia), con il primo vagito è nata la mia prima emozione da raccontare. Ebbene, da quel giorno, con sorrisi, gorgheggi, urli e strilli, ho cominciato a raccontare le mie poesie, le mie emozioni, i miei disagi, le mie paure, le mie gioie. Poi, con il passare del tempo, ho soltanto imparato a mettere nero su bianco quelle emozioni ed è lì che è nato il poeta e scrittore che sono oggi.
Che cosa riesci a raccontare attraverso i tuoi versi e la tua scrittura?
Io cerco di raccontare quello che provo. Posso farlo con una poesia, con un racconto o con un romanzo, ma quello che mi interessa trasmettere sono le emozioni. Di poesie e romanzi se ne leggono molti, alcuni sono belli, altri meno, ma pochi ti trascinano nel fantastico mondo dei sentimenti, pochi ti fanno scendere una calda lacrima dal viso e soltanto alcuni ti fanno apprezzare la bellezza insita nella vita. E’ su questi tasti che io vorrei suonare le colorate e variopinte melodie del cuore.
A cosa paragoni quello che scrivi?
I miei scritti li paragono a una buona musica, e come un buon musicista prendo le mie parole le metto su uno spartito senza note e cerco di condurre il lettore fra le infinite sfumature delle emozioni.
Nello stesso anno l’uscita di tre tue opere: “Filastrocca colorata”, “Perle colorate” e “Ali di farfalla”. Come è stato misurarsi con tre generi completamente diversi (filastrocca, poesia e romanzo)?
Anche se i generi sono diversi, non indosso abiti diversi. Io indosso sempre lo stesso vestito. Quel vestito che mi è stato cucito dal sarto della vita con le stoffe che il dolore ha voluto regalarmi, ma non per questo è un abito sgualcito o consumato dagli anni e va bene per qualsiasi occasione. Lo indosso quando scrivo poesie così come quando scrivo racconti, romanzi o filastrocche. In fondo la poesia e la narrativa sono due forme diverse di trasmettere emozioni e non c’è bisogno di cambiarsi d’abito per raccontare le mille sfumature colorate di un cuore che batte forte.
Da cosa nasce la tua poesia e la tua scrittura?
La mia poesia e la mia scrittura nascono dal cuore. Io racconto sentimenti ed emozioni e cerco di farli vivere/rivivere al lettore. Io lo prendo per mano e lo conduco sui vasti territori delle emozioni. Se è una poesia devo concentrare tutto in poche righe, se è un romanzo posso concedermi qualche lusso in più.
Che cosa hai voluto raccontare con “Ali di farfalla”?
Con “Ali di farfalla” ho soltanto voluto portare il mondo dei disabili a un livello umano. Ho cercato di far vedere le cose con gli occhi di un padre costretto prima a convivere con una situazione poco piacevole, e poi a trovare le motivazioni per accettare l’handicap e la diversità. Chi vive l’handicap sulle proprie spalle sa che le diversità non ci limitano ma ci insegnano a vivere, ci fanno capire che il nostro mondo è relativo e che non dobbiamo mai dare nulla per scontato.
Quale è il vero messaggio che si racchiude tra le sue pagine?
Con “Ali di farfalla” cerco di far capire alle persone “normali” il mondo dei diversamente abili. Per chi gravita nei cieli della sofferenza sa che la linea di confine fra “normalità” e “disabilità” passa attraverso un bene prezioso: la salute. Nessuna persona “normale” dovrebbe mai dimenticarsi del bene che le è stato regalato. Troppo spesso invece non diamo valore alla salute e ci preoccupiamo di cose frivole. A volte anche la cosa più banale ci sembra un problema e ci fa star male. Se soltanto pensassimo a quelli che io chiamo “Angeli senza ali” capiremo che due sole cose ci dovrebbero preoccupare: la morte e la malattia grave. A tutto il resto c’è sempre rimedio.
Come dispiegano le ali e volano le farfalle?
Il loro mondo è fatto di luce, ombre e colori, così come il nostro. Loro però, a differenza di noi, lo sanno apprezzare, sanno vedere la bellezza delle cose. Il loro animo è candido, innocente, estraneo a tutte le brutture del mondo. Per loro è facile aprire le ali e volare con la fantasia. A volte i limiti e la realtà li risucchiano a terra ma, per loro, basta un battito d’ali e sono di nuovo sui cieli azzurri a raccogliere i regali della vita: un sorriso, una carezza, un bacio, una parola amorevole. Loro volano leggeri lasciandosi scivolare addosso le avversità. Soffrono in silenzio, sono coscienti di quello che gli è stato negato, ma non per questo smettono di sorridere, amare e volare.
Dove si trova secondo te la vera felicità?
La vera felicità è quella che hai nel cuore e puoi conquistarla soltanto se raggiungi un equilibrio interiore, e siccome puoi essere felice e amare gli altri soltanto quando imparerai ad amare te stesso, io penso che il lavoro più grande che noi tutti, normodotati e non, dobbiamo fare è quello di raggiungere un nostro punto d’equilibrio. In questo percorso di crescita qualsiasi strada è giusta, purché sia una strada d’amore.
Quale è secondo te il peggior nemico per uno scrittore?
Sicuramente la banalità. E se io riesco a scrivere senza mai annoiare il lettore vuol dire che già è un buon lavoro. Ma cerco di andare oltre e non avendo verità assolute o messaggi universali, cerco di trasmettere quello che ho di più caro: l’amore.
Quale è il complimento più bello che hai ricevuto?
Più di un lettore mi ha detto: “Quando inizio un tuo libro non vedo l’ora di tornare a casa per finire di leggerlo”. Io penso che non ci sia complimento migliore per chi scrive.
Secondo te, gli italiani sono più un “popolo” di poeti o un “popolo” di scrittori? E i giovani?
Io penso che in Italia i libri siano poco amati, specialmente quelli di poesie. Allora mi chiedo: siamo un popolo di ignoranti o sono i poeti e gli scrittori che non sanno trasmettere la poesia e raccontare storie? Chissà, forse sono un po’ tutte e due le cose, forse a scuola invece di farci amare la poesia ce l’hanno fatta odiare. La poesia e la scrittura hanno bisogno di capacità introspettiva, sensibilità, pazienza, tempo, cultura. Tutte cose sconosciute alla maggior parte dei giovani d’oggi. Se solo sapessero che in ogni libro c’è un mondo. Se qualcuno gli spiegasse che ogni libro ci porta lontano, ci insegna qualcosa, ci fa viaggiare con la mente e la fantasia, i libri sarebbero più amati. I libri sono una finestra sul mondo, ci portano aria pulita, luce, calore, e novità. Il libro è una finestra che si apre alla prima pagina e si chiude con la parola “Fine”.
Un tuo progetto per il futuro?
Dopo aver scritto quattro libri in tre anni vorrei prendermi un periodo di riposo. Ho però un paio di idee in fase di studio avanzato. La prima è un libro di poesie che non sarà la continuazione di “Perle colorate”, infatti le prossime poesie non tratteranno soltanto l’argomento “amore”, ma spazieranno a 360° fra le emozioni.
L’altra idea è un libro a metà fra racconti e romanzo dove il tema conduttore sarà la notte. La notte vista con gli occhi di chi inizia a vivere quando tramonta il sole e dove tutto assume un’atmosfera più tenue, sfocata, cupa, allegra pesante… a seconda dei personaggi che la raccontano. Un libro che non sia un semplice resoconto ma che faccia vivere al lettore gli stati d’animo che sono insiti di quella parte della giornata in cui la maggior parte delle persone dorme.