Quando si parla di resistenza partigiana, Roma non è la prima città che viene in mente. Si pensa a Milano, a Napoli, a tante città piccole e meno piccole del Nord, costrette a resistere più a lungo all’oppressione nazista e ad essere teatro di eccidi e atrocità. È vero, però, che la capitale, in quanto tale, ha un suo valore simbolico unico e incomparabilmente importante rispetto a qualsiasi altra località della nazione. Ecco, quindi, l’esaltazione della resistenza di Porta San Paolo, tra i primi atti di eroica opposizione all’invasore. Ribellione giusta e sacrosanta ad opera di cittadini, ma anche, e soprattutto, militari italiani. Uno dei primi segni di quel risveglio di dignità nazionale democratica e popolare che poi travolse tutta la nazione unendola e preparandola a dare luce alla Repubblica Italiana.
Qualche giorno fa, invece, si è celebrata la commemorazione dell’estremo sacrificio dell’ultima vittima partigiana a Roma, un semplice ragazzino di 12 anni, che avrebbe frequentato le medie se non ci fosse stata la guerra, che con il suo coraggio ha salvato addirittura l’integrità di un intero ponte sulla Salaria. Una canzone allora come ora è il simbolo della resistenza partigiana all’oppressione straniera: “ Bella ciao”. È semplice da cantare e da mandare a memoria, tanto che è una delle prime canzoni che si impara da piccoli: ha un ritmo travolgente e, pur parlando di tempi difficilissimi e dolorosissimi, ha un’energia e una gioia che fin da bambini anche noi abbiamo imparato ad apprezzare. È canzone di dignità, quella che spinge alla ribellione e a combattere per i propri diritti. È canzone di speranza, quella che parla di amore e morte per un bene comune. È una canzone di tutti, bianchi, rossi, verdi e anche neri, perché parla degli italiani che rinascono nel momento più cupo della storia recente, quando tutto distrutto, il re e le istituzioni sono in fuga e il potere è in mano all’ennesimo straniero invasore che spadroneggia e vessa gli italiani. È canzone di risorgimento, come l’inno di Mameli, di tutti gli italiani che si sentono tali. È talmente italiana e sentita che, quando eravamo piccoli, si cantava anche durante le gite parrocchiali. È un monumento nazionale tale, che qualsiasi parola sembra superflua e non all’altezza. Eppure qualche giorno fa un coro di ragazzetti delle medie che ha intonato questa canzone come un fuori programma durante un’esibizione di fine anno è stato pesantemente criticato. Criticato proprio da un dipendente pubblico, legato a questa nazione da un particolare giuramento di fedeltà. Per quanto ci si possa sforzare, credo sia impossibile immaginare quali strani giri mentali hanno alimentato una simile reazione contro chi cantava “Bella ciao”. E’ meglio, invece, pensare a questi dodicenni, della stessa età di Ugo Forno, che noi siamo abituati a considerare dei ragazzini, poco interessati al bene comune perché ancora alle soglie dell’infanzia, ma invece capaci di darci una bella lezione di spontaneo coraggio e civiltà. La sensazione che si prova di fronte a tali notizie, sia quella tragica ed eroica di Ugo Forno, sia quella per fortuna più ordinaria dei piccoli eroi dei giorni nostri, è sempre la stessa: commozione e simpatia per i ragazzi, sdegno e riprovazione profonda per gli adulti oppressori. Atti come questi, però, danno grande speranza nel futuro e fanno venire voglia di scrivere una sola cosa: bravi ragazzi, continuate così!