Si è appena conclusa la mostra Caravaggio-Bacon, incentrata sul confronto artistico tra i due pittori, e Roma si prepara ad ospitarne un’altra interamente dedicata al grande maestro vissuto a cavallo tra ‘500 e ‘600, “Caravaggio”, dal 20 febbraio al 13 giugno 2010, presso le Scuderie del Quirinale.
L’esposizione è un tributo al tormentato artista, la cui morte avvenne esattamente 400 anni fa, che a Roma trascorse gran parte della propria vita e dipinse le sue opere più importanti.
Un legame profondo quello di Caravaggio con Roma, che gli ispirò le rappresentazioni, i colori e la tensione emotiva che rendono inconfondibile ogni suo dipinto.
Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, lombardo di nascita, si trasferisce a Roma all’incirca ventenne,nel 1592.
E’ la Roma della Controriforma quella con cui viene a contatto. La Chiesa, messa a dura prova dalla riforma protestante, risponde con un forte richiamo alla tradizione indirizzato anche all’arte, che vuole vicina al sacro e lontana dal profano. Perfino i nudi michelangioleschi della Cappella Sistina vengono coperti, facendo guadagnare al pittore cui viene affidato l’intervento di moralizzazione, il nomignolo di Braghettone.
L’immagine sacra deve essere intrisa di spiritualità, trascendente, e non rappresentare in alcun modo la carnalità e altre raffigurazioni considerate peccaminose, come quelle della Maddalena, che vengono rimosse dalla vista dei fedeli.
Ma è un’altra Roma quella in cui Caravaggio vive.
Il giovane artista lavora inizialmente come apprendista in una bottega dalle parti di piazza della Torretta, dove gli vengono affidati lavori decorativi, secondo il gusto dell’epoca, per lo più fiori e frutta.
Nella natura morta Canestra di frutta, il suo talento è già evidente, così come incontenibile è il suo temperamento.
Caravaggio scorrazza per la città in compagnia di altri artisti, coi quali scoppiano spesso liti, anche violente. Il suo modo di vivere è sregolato, sfida la morale del tempo accompagnandosi a donne e uomini, e trascorre le serate tra bettole malfamate, bische e bordelli.
La sua vita è molto lontana da quella della maggior parte degli artisti del tempo, che vivono all’ombra del palazzo del loro committente, da cui ricevono sicurezza e protezione.
Caravaggio sembra non poter fare a meno di addentrarsi nei meandri più oscuri di Roma, che a cavallo tra il ‘500 e il ‘600 non ha più niente delle glorie del passato.
E’ una città che conta appena centomila abitanti, con ampie zone di decadenza e degrado, spesso pericolosa, dove ad ogni angolo si aggirano poveri, mendicanti e prostitute.
Sono in molti a chiedersi come abbia fatto la capitale dell’impero a ridursi in ginocchio, tra cui il padre gesuita Gregory Martin, che a fine secolo scrive: “Dove tutta la bellezza era sui sette colli, che cosa c’è ora se non desolazione e solitudine?”
E’ in questo contesto che nasce l’anima della pittura di Caravaggio.
I dipinti sono bui, come i luoghi malfamati che frequenta, rischiarati da luce che sembra provenire da una candela o un lume a olio, e i protagonisti sono le persone lì incontrate, gente comune, del popolo.
E’ così che nei Bari, due uomini cercano di sbarcare il lunario imbrogliando un giovane, e nella Buona Ventura, una zingara deruba il malcapitato cui legge la mano.
E’ una pittura che si discosta completamente dalla raffinata produzione rinascimentale che avuto in Raffaello e Michelangelo i suoi più grandi maestri, e approda a una forma di realismo dove per la prima volta il soggetto rappresentato veste di stracci e ha le mani rovinate dal lavoro.
Lo stile pittorico di Caravaggio dà vita a rappresentazioni del sacro come La morte della Vergine, dipinto rivoluzionario rispetto al’iconografia classica.
In un ambiente ancora una volta umile, la Maddalena e gli apostoli piangono la morte di una Vergine che è una rappresentazione della sofferenza che non potrebbe essere più realistica, col volto terreo e il ventre gonfio, e, cosa che desta grande scandalo, con le vesti che scoprono le gambe.
Il dipinto, che viene considerato osceno, non troverà in Italia nessun acquirente, e sarà uno dei motivi per cui Caravaggio sarà costretto ad allontanarsi dalla città.
In realtà, ancora una volta, il grande pittore ha rappresentato la Roma dei suoi tempi.
Pare infatti che per la raffigurazione de La morte della Vergine, egli sia servito dell’osservazione del cadavere di una prostituta restituito dalle acque del Tevere, scena abbastanza frequente, all’epoca.
La stessa Maddalena, circondata da apostoli che vestono abiti umili, è un richiamo
a una Chiesa più pastorale e vicina ai bisognosi.
Caravaggio diventa un personaggio scomodo, come sconveniente è la realtà che rappresenta.
L’attrazione verso l’oscuro, su cui ha saputo gettar luce dipingendo alcuni fra i più grandi capolavori di tutti i tempi, ne segna anche la condanna, quando nel 1606, a seguito di una lite, uccide il rivale.
Il pittore fugge da Roma, rifugiandosi prima a Napoli, poi in Sicilia, e quindi a Malta.
Muore nel 1610, tentando di far ritorno a Roma, secondo alcuni di febbre malarica, secondo altri di morte violenta.
Fino alle sue ultime opere, rimase fedele a quello che secondo lui era l’intento dei veri pittori, coloro che sappi far bene dell’arte sua, così un pittore valentuomo (…) sappi depingere bene et imitar bene le cose naturali.
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