Sembra di sentire una chiosa relativa alle vicende politiche dei nostri giorni. Chi ci governa fa nuovi accordi ogni settimana, talvolta meno, con uno o con l’altro o con l’altro ancora. Due parti (o almeno due esponenti di due parti) che sembravano opposte (o almeno non proprio in sintonia), si ritrovano sulla stessa lunghezza d’onda e preparano insieme un’alleanza come se si trattasse di un patto di eterna fedeltà e fratellanza, come se finalmente avessero trovato nell’altro il partner ideale per portare avanti un disegno di ricostruzione della Nazione, come se dopo tanto tempo speso a far capire al mondo la loro visione avessero finalmente trovato solo ora e solo con questo partner un terreno comune per renderla concreta.
Quando poi, tre giorni dopo, litigano pubblicamente, si rinfacciano a vicenda l’incapacità di fare e di dire, insomma si disprezzano cordialmente, hanno anche la faccia tosta di negare di essere mai stati d’accordo, e sono ben attenti a non citare le precedenti quindici volte in cui hanno ripetuto lo stesso balletto.
Questo proverbio ben si adatta a questi figuri, e forse a buona parte dei politici di tutti i tempi, visto che chi si dedica alla politica sembra accanirsi ad avere come unico vero amico sé stesso. Insomma a chiudere, più che ad aprire. Ma ciò che talvolta sfugge (un po’ a tutti) è il fatto che, in democrazia, ogni volta che si fanno accordi con una o l’altra parte politica, si sta tacitamente facendo un accordo con gli elettori di quella parte (che non è detto peraltro che si troverebbero d’accordo in ogni specifico caso), quando si offende uno o l’altro partito, si stanno tacitamente offendendo i sostenitori di quel partito.
Ma non con i nostri (soliti) politici. Con loro si continua a “cascarci” ogni volta. Ci si incaponisce a credere (o almeno a sperare) che sono davvero dalla nostra parte. A fidarsi. Perché?