Ovvero: poco a niente gli è parente, o poco e niente sono parenti.
E’ questa la risposta che con assoluta semplicità e schiettezza si può dare al detto “meglio poco che niente”. O anche al modo di dire, questo sempre in dialetto romanesco, “mejo de gniente”. A quest’ultimo motto è stata persino dedicata una strada di Roma nel quartiere Colle degli Abeti, per sottolineare sarcasticamente l’impossibilità di abitare in case prive di qualsiasi servizio ed infrastruttura (non sono stati portati infatti nel quartiere né luce, né acqua, né fognature, né gas).
Insomma, dal poco al niente il passo è breve, anzi brevissimo. Con l’aggravante che quando ciò che si ottiene è solo un contentino, ci si sente anche presi in giro. Tanto più se il contentino viene dato in risposta alla legittima richiesta di un sacrosanto diritto.
Ci sarà certo chi obietterà che il detto “meglio poco che niente” è giusto, anzi innegabile ed afferemerà che bisogna pur sapersi accontetare. Ma l’obiezione non sempre è pertinente. Immaginiamo di avere sete dopo una lunga corsa, chiedere dell’acqua ed ottenerne tre gocce. Difficilmente ci disseterà. Immaginiamo di andare in biblioteca per prendere un bel libro da leggere la sera e riceverlo segato a metà. Non sarà certo una piacevole lettura. Ci sono casi in cui niente è una risposta più dignitosa di poco. Resta importante comunque non prendersi troppo sul serio.
Ecco perché la metafora usata è, ancora una volta, ironica e un po’ satirica. La parentela tra due avverbi fa ridere, tanto più se in rima. L’ironia serve per constatare i problemi e tirare avanti senza prendersela troppo. Una cosa che, evidentemente, il popolo di Roma ha fatto spesso nella storia. Almeno negli ultimi secoli. Meglio farlo con il sorriso. La satira serve a bastonare, sempre metaforicamente, chi ci prende in giro e la passa liscia.