Ovvero: perdonare è da uomo, dimenticare è da animale!
Due bellissimi concetti in un solo proverbio: il perdono e la memoria.
Due principi costituenti della persona come essere umano a tutto tondo. Due assiomi che spesso vengono confusi. Si tende a credere che chi dimentica conseguentemente perdona, o che comunque per perdonare si deve dimenticare un torto, un’ingiustizia subìta, una situazione spiacevole.
La memoria e il perdono sono entrambi principi difficili da seguire e mettere in pratica, mentre dimenticare è sempre più facile. Proprio questa semplicità fa sorgere il dubbio che la via dell’oblio sia quella errata, come sempre succede quando è la strada facile da percorrere.
Il perdono è uno di quei concetti davvero difficili, davvero elevati. Una di quelle cose che richiede non solo una grande fatica iniziale, ma anche un continuo impegno successivo. Per arrivare al perdono è necessario prima di tutto passare per la comprensione, si deve scavare ed andare a capire l’origine che ha portato l’altro a farci un torto. Se si riesce davvero ad ottenere un quadro completo della situazione in genere si scoprono anche le proprie responsabilità in quel torto subìto. Se poi si riesce da qui a fare il grande passo del perdono, non significa aver raggiunto la fine della corsa. Significa che con quel quadro ben presente si potrà continuare ad accettare ciò che si è subìto e chi ce lo ha fatto subire.
E’ una opportunità. Una grande possibilità che richiede una grandezza interiore o, per dirla brevemente, l’essere uomo, come dice il proverbio (o donna, è il caso di aggiungere).
Eppure i casi sono tanti e i livelli di torto tali che arrivare al perdono richiede fatiche, dell’anima, assai diverse per intensità e grandezza. E non si possono certo trascurare quei casi in cui, effettivamente, la colpa è da una sola parte. Non illudiamoci, non mettiamo scuse infantili giustificandoci a priori: sono casi assai più rari di quelli in cui abbiamo una co-responsabilità. Ma vanno tenuti in conto.
Eppure il perdono, anche in quei casi, va perseguito.
Non si tratta di un motivo religioso. Non necessariamente. E’ un motivo che parte da dentro e che, non a caso, è alla base dello stesso principio religioso del perdono. La ricerca di una pace interiore.
Ma non è il motivo del perdono l’argomento affrontato dal proverbio in questione.
L’altra metà del detto affronta invece la memoria e sottolinea come dimenticare il torto di cui sopra, è da animale, da bestia. Ribadendo perciò il fatto che il perdono non si può svincolare dall’ingiustizia da perdonare. Deve invece portarsela dietro, legarla a sé. Non ci si può dimenticare nemmeno l’atto di aver perdonato, per unire indissolubilmente la memoria alla sofferenza del processo di comprensione.
Dimenticare è facile … e stupido. Ma prima di tutto non permette di perdonare davvero. Al limite permette di rimuovere, a volte solo momentaneamente, rischiando di soffocare una rabbia che potrebbe poi riaffiorare ed esplodere pericolosamente. Secondo non ci permette di fare tesoro di una esperienza. Una brutta esperienza che potrà tornarci utile per evitare una situazione simile in futuro, o per capire quali sono i nostri punti deboli ed affrontarli.
Scegliere di perdonare e non dimenticare è soprattutto doloroso. Ma, come scritto nel proverbio, grazie al dolore si è, o si diventa, uomo (o donna). Il dolore è l’unità di misura della nostra umanità.