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Li parenti der papa diventeno presto cardinali

familyOvvero: i parenti del Papa diventano presto cardinali.

È una denuncia quella che si legge in queste poche parole, invece di un vero e proprio proverbio. Come gran parte dei detti usati nella capitale, anche questo risale circa al XVI secolo, quando a Roma il Papa aveva un potere temporale assoluto ed apparteneva sempre a famiglie nobili, come quella dei Farnese ad esempio. Una denuncia che risale a circa cinque secoli fa ed è pienamente attuale.

Il nepotismo è, e a quanto sembra è sempre stato, una consistente piaga della nostra società civile. Tentare di castigare i cattivi costumi, purtroppo quasi esclusivamente a parole, non sembra aver avuto nessun effetto, tranne forse quello di una aumentata ipocrisia relativamente a questo argomento. Ipocrisia però che non è dettata da un senso di vergogna, che sarebbe più che opportuno nel caso in cui si favorisse il proprio figlio, o comunque un parente o un amico vicino, a scapito di chi dimostra più meriti e competenze. Si tratta invece di quell’ipocrisia, forse troppo spiccatamente italiana, di chi ritiene opportuno e perfino giusto fare qualsiasi cosa, comprese ingiustizie e nefandezze di ogni sorta, per il cosiddetto bene dei propri figli e della famiglia.
Con questa bella scusa non solo si contravviene ad altri doveri altrettanto importanti, che sono quelli nei confronti della società e del diritto di ciascuno, ma spesso si ottiene un risultato che, guardato in una visione di insieme e quindi più distaccata ed obiettiva, è contrario proprio al bene di quei figli per cui si dice di fare tanto. Semplicemente perché una società in cui i posti cosiddetti di potere e responsabilità, che esistono ovviamente a tutti i livelli, vengono assegnati per mero diritto di parentela, è destinata a decadere e cadere sempre più precipitosamente in una palude di incompetenza e garanzie ingiustificate, vuote, controproducenti.
E d è la stessa società con cui i cui figli tanto amati e viziati dovranno poi confrontarsi, in cui dovranno vivere quotidianamente cercando di non farsi travolgere e di non vedersi negare diritti basilari.

Ma sembra anche che, in modo ancora spiccatamente italiano, quasi nessuno voglia prendersi la responsabilità di fare il primo passo. “Meglio fare come fanno tutti” è considerata una delle frasi più di buon senso da molti. Salvo poi trovarsi dall’altra parte a pronunciare frasi simili ma con un chiaro intento di protesta e lamentela, del genere “tanto fanno tutti così, sono tutti uguali”. Si sente qualcosa di simile quasi ogni giorno, con evidente senso di tristezza e rassegnazione e con la nascosta speranza che prima o poi cambi qualcosa. Magari per volontà divina o, come spesso già è successo in passato, per volontà di un governo straniero.

Riprendendo il proverbio in modo più letterale, la denuncia è rivolta naturalmente ai vertici del potere. A coloro che, insomma, non già dovrebbero dare un certo esempio, ma soprattutto dovrebbero spendersi per guidare, spingere ed incanalare le forze sociali in strade virtuose. O almeno dare questa impressione. Nessuno dovrebbe sentirsi esente da questa responsabilità, neanche se crede di non avere nessuna influenza sul mondo che lo circonda, ma certo un miglior esempio “dall’alto” risulterebbe incoraggiante.

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