Non richiede grandi spiegazioni questo proverbio, tanto antico quanto il vizio del gioco. Ci è sembrato particolarmente adatto a questo periodo tra fine d’anno vecchio e inizio d’anno nuovo, in cui si gioca con gli amici o si attende l’estrazione dei biglietti della Lotteria Italia, la più famosa tra le lotterie nella nostra Nazione, anche se non la più antica. Tra lotto, superenalotto, scommesse lecite (e purtroppo illecite), lotterie, e, ormai, anche il bingo importato dagli Stati Uniti, l’Italia è una delle Nazioni in cui si gioca di più al mondo, per tentare la fortuna e diventare ricchi “facilmente”. Si tratta di giochi spesso innocenti e con azzardo ridotto al minimo che ci fanno sperare e sognare una vita di agi, riposo, viaggi e serenità (economica naturalmente).
Eppure è facile cadere nella trappola del vizio anche a partire da un semplice “gratta e vinci”. Certo che se poi si vince, si è tentati di riprovarci … e riprovarci … e riprovarci … Così a ripetizione e senza sosta, perché se una volta si vince, le dieci successive si perde. Ma, come è ben noto, la nostra memoria è opportunista: ci ricordiamo bene e con immenso piacere quando otteniamo un buon risultato, mentre tendiamo a dimenticare la mano persa o il giro andato male. E soprattutto desideriamo talmente tanto provare di nuovo l’immensa soddisfazione della vittoria, che consideriamo i casi sfortunati del tutto secondari, anzi necessari, quasi propedeutici, al nuovo incasso. Insomma, come appunto dice il proverbio, siamo pronti a pagare … pur di ritentare la sorte.
Ciò di cui si può esser certi leggendo il proverbio è che il popolo ci è già passato, ha già visto e provato, ha già elaborato e “digerito”, ha già giocato e vinto e perso. Pur acciaccato è andato oltre e non si farà troppo illudere neanche questa volta. E se non siamo troppo convinti che sia così e che finirà bene anche questa volta, incrociamo scaramanticamente le dita e affidiamoci alla sorte.