diavoletto
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Quanno er diavolo te lecca è segno che vo’ l’anima

diavolettoOvvero: quando il diavolo ti lusinga, è segno che vuole l’anima.

Proverbio di facile interpretazione e di carattere (semi)religioso, come molti altri proverbi romani.
Ma anche scanzonato e sarcastico, come da consolidata tradizione popolare, che si potrebbe anche tradurre con un più laconico: non credere a chi ti fa tanti complimenti, non ci cascare con tutte le scarpe insomma, come recita un altro noto modo di dire.

E’ vero in effetti che al romano medio il complimento mieloso e ammiccante, quello tipico di chi si presenta un po’ come un amico tra il piacione e il falso viscidone, non piace. Anzi, induce subito un certo sospetto recondito nella mente malfidata del cittadino capitolino. Sospetto che si legge subito nel pur sempre “fracico” sguardo. L’espressione che gli si forma in volto è quella tipica della seguente domanda: “ ma che me stai a pià pe li fonnelli?”, per usare la forma più educata e gentile tra le tante usate in città. (Traduzione: per caso, mio caro, mi stai prendendo in giro?).

Ma non è detto che tali parole, che partono spontaneamente e quasi incontrollate più o meno dall’altezza dello stomaco, arrivino su su fino alle labbra. Anzi, nonostante l’iniziale repulsione, la reazione è solitamente abbastanza attendista e sorniona, tanto per vedere dove la vipera vuole andare a parare. Tanto che, dopo la cosiddetta leccata, o segue un momento di silenzio di attesa oppure una frase di circostanza del tipo: “Ma lassa perde’! Ma nun è vero!” (ovvero: Ma no, figurati! Stai esagerando!).

Se a questo punto l’adulatore non si dà per vinto e, deciso a raggiungere il suo scopo, insiste aumentando magari la dose, la persona, romana nell’animo, appena lusingata oltre ogni misura, reagisce in genere con un non troppo diplomatico “Seeee! Vabbè … ma mo’ che m’hai fatto sta’ leccata che vòi da me?” (corrispondente a: Sì, bene, caro. Non insistere, anzi dimmi: a seguito di codesto tuo mirabolante complimento, cosa posso fare ora per te?).

Se poi ancora il testardo opportunista, anche se ormai scoperto, non si sente minimamente scoraggiato e con perfetta faccia di bronzo e sorrisino strisciante, invece di declinare l’offerta, espone finalmente una proposta niente affatto gradita, l’espressione di commiato che non ammette replica è solitamente: “Ma vedi d’annattene, va!”, almeno nei casi più educati (frase che si può così interpretare: Mi sento costretto a declinare per il momento la sua gentile proposta, che sarà certo presa in considerazione comunque per un’altra volta).

Insomma, si sa che più la proposta è indecente, più sono le moine con cui viene fatta. Quindi chi più del diavolo in persona è prodigo di lusinghe, dolci e gradevoli per le nostre orecchie (e per il nostro ego)?

In conclusione si può dire che questo detto ha il grande pregio di metterci in guardia, per una volta piuttosto garbatamente, considerata la rudezza del romanesco, e con una certa ironia, per non farci cadere nella trappola delle umane, ed inevitabili, vanità. Quelle vanità nascoste che riaffiorano inaspettatamente e involontariamente quando le lusinghe sono ben fatte, e che subito ci portano ad essere manipolati più facilmente di quanto vorremmo dal … diavolo di turno.

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