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La comunità filippina a Roma

bandiera_filippineQuando ero piccolo, non troppi decenni fa, sentivo spesso parlare i grandi di fantomatici "filippini" che uno o due giorni a settimana entravano in casa o ne uscivano, in sostanza partecipavano attivamente alla vita di tutti i giorni. "Oggi il filippino mi porta a spasso il cane" piuttosto che "ieri la filippina mi ha stirato tutte le camicie" o ancora "la bambina si trova benissimo con la nuova filippina". Insomma, mi sembrava che questi filippini fossero delle persone fantastiche, indispensabili nella vita di tutti noi, e non riuscivo a capacitarmi di come la mia famiglia ne riuscisse a fare a meno. Eppure anche noi avevamo il cane (anzi due!!), anche mio padre sporcava un sacco di camicie che venivano regolarmente lavate, anche io e la mia sorellina avevamo bisogno di un qualche tipo di sorveglianza. Pian piano, anno dopo anno, oltre ai filippini iniziavano a sbucare altre creature indispensabili, provenienti dai più svariati paesi del mondo: Perù, Messico, Romania, ecc. Ormai sono cresciuto, ma nel mio immaginario i migliori collaboratori familiari rimarranno sempre i filippini.

L'inizio dell'immigrazione filippina in Italia iniziò durante gli anni '70, soprattutto grazie alle numerose missioni religiose allora presenti nel sud-est asiatico e che rappresentavano non solo punti di contatto, ma anche nicchie di protezione e supporto per quanti sognavano un futuro migliore all'estero. Era il 2004 quando 8 milioni di filippini, sparsi in 193 paesi del mondo, erano impegnati in larga maggioranza in ruoli di assistenti familiari, badanti, inservienti, cuochi, camerieri. Ed in patria erano considerati eroi nazionali, perché globalmente il loro introito equivaleva ad una discreta percentuale di quello complessivo di tutta la nazione. Ma si trattava di una magra consolazione, in quanto in molti casi la formazione culturale era quella di scuola media superiore o addirittura universitaria.
passaporto_filippinoA Roma, e come avrebbe potuto essere diversamente, la comunità filippina fece inizialmente leva sulla sua radicata tradizione religiosa. Le prime comunità si insediarono nelle vicinanze delle parrocchie, prime tra tutte quella del Sacro Cuore, vicino la stazione Termini, e quella di San Silvestro, tra Quirinale e Campo Marzio. Successivamente, vennero via via istituite una serie di chiese evangeliche, che attualmente raccolgono la maggior parte dei culti diffusi presso la comunità filippina:
– Chiesa Metodista di via XX Settembre;
– Chiesa battista di lingua inglese di piazza San Lorenzo in Lucina;
– Comunità Avventista di via Urbana;
– Chiesa battista di via Pullino.

Oltre che nel ruolo di "colf", i primi filippini iniziarono nel settore alberghiero come facchino, cameriere o barista. Solo pochissimi riuscivano ad inserirsi come infermieri o ausiliari in ospedali o cliniche private, e ancora meno come mediatori culturali. Per valorizzare le molteplici competenze presenti ed ottimizzare l'impegno, nel giugno 2006 nacque l'Università Popolare Filippina di Roma, con l'obiettivo di promuovere la , il mantenimento delle tradizioni e dell'identità culturale. Con questa iniziativa, numerosi filippini hanno potuto dedicarsi all'insegnamento, con l'opportunità di affermare se stessi senza dover necessariamente ripiegare su attività non sempre commisurate alle loro effettive potenzialità. Inoltre, grazie all'affiancamento di docenti italiani, sono stati agevolati l'integrazione e lo scambio culturale con la comunità italiana, sia dei bambini che degli adulti. Oggi la comunità filippina è alla seconda generazione a Roma, e l'assiduo impegno dei suoi membri ha consentito una proficua integrazione con la comunità capitolina.
Sono diffuse due riviste in lingua filippina, "Ako ay pilipino" e "Pinoy Patrol". Entrambe sono mensili e contengono che vanno dalle novità normative in materia di immigrazione ai fatti di cronaca, agli appuntamenti di aggregazione culturale.
Non mancano esempi di storie di successo, imprenditori filippini che hanno sviluppato proprie idee riuscendo ad avviare attività, talvolta supportati da "colleghi" italiani che hanno creato società con loro. Tra queste, spiccano le agenzie di viaggio:
– Jeepney Travel di via Marziale
– Kayumanggi Travel di via Galimberti
– Pink Travel di via Appia Nuova
– Sampaguita Travel Tour di piazza del Quadraretto

Nella enorme mole di lavoro degno di nota prodotto nei recenti anni passati, ricordiamo una ricerca effettuata nel 2004 da due filippine, intitolata "Io, noi e loro: realtà e illusioni delle colf filippine", sfociata nella pubblicazione dell'omonimo libro. Le autrici sono Rosalud Jing de la Rosa e Charito Basa, entrambe supportate da un passato coraggioso di emigrate, una in Italia e l'altra a New York. Il fulcro della ricerca ruota intorno al doppio ruolo delle filippine, "eroine" in patria e "brave domestiche" qui in Italia. Un difficile ruolo da sostenere, anche in virtù di una assurda considerazione che di esse sembra avere il governo filippino, che sfrutta l'esodo di numerosissime madri di famiglia senza preoccuparsi delle devastanti ripercussioni sociali che questa scelta provoca, soprattutto sulla condizione di "orfani" in cui si ritrovano figli e mariti che rimangono in patria.
Padre Guevara, responsabile di una delle maggiori comunità filippine, quella di via Urbana, affronta un altro aspetto dell'integrazione, quello relativo ai rapporti di coppia tra filippini e italiani. Il numero di italiani che sposano donne filippine è in crescita, ma per l'uomo si tratterebbe quasi sempre di seconde nozze. Sembra invece che gli uomini filippini abbiano vergogna nel corteggiare le italiane, riducendo a rarissimi casi le coppie miste a ruoli invertiti.
Inoltre, è ancora molto sviluppato il senso di inferiorità che i filippini provano nei confronti della comunità ospite. Si tratterebbe di un retaggio derivante dalla colonizzazione, che secondo Padre Guevara è la radice di un atteggiamento servizievole e passivo particolarmente apprezzato "dai datori di lavoro". Le nuove generazioni sono fortunatamente scevre da "tare" storiche, anche se da questo punto di vista non è tutto ora quello che luccica. Infatti, gli adolescenti arrivano in Italia poco prima dei 18 anni, superati i quali non hanno più diritto al ricongiungimento familiare.
Nel corso degli ultimi anni, in Italia molto è cambiato in materia di normative a tutela dei lavoratori legalmente immigrati. La speranza è che le leggi siano supportate anche da un cambiamento di mentalità, non solo da parte degli italiani, ma anche della stessa madrepatria, affinché la "perdita" di una risorsa umana non venga vista solo come una indiretta forma di reddito, ma soprattutto come una mancata opportunità di sviluppo nazionale.

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