A Roma la comunità araba è quella più antica per periodo di arrivo e più numerosa. Quelli che comunemente vengono riconosciuti dalla popolazione autoctona come “marocchini” provengono sì dal “mando arabo” ma al loro interno sono rappresentati da una pluralità di nazionalità differenti. Coloro che sono arrivati o continuano ad arrivare dal Marocco costituiscono, dal punto di vista numerico, la “famiglia” più numerosa. Seguono per numero di presenze gli egiziani e i tunisini, a cui si aggiungono algerini, libanesi, iracheni, siriani, somali, eritrei, e in misura minore mauriziani.
Molteplici fattori, comunque, uniscono tutte queste genti provenienti da differenti nazioni quali: lingua, religione, e tradizioni.
Dal punto di vista linguistico infatti, la lingua araba è l’unica lingua che unisce tutte le comunità arabe nonostante una diversificazione dal punto di vista dei loro dialetti e della presenza di minoranze etniche, come curdi e siriani.
La stragrande maggioranza della popolazione araba che vive a Roma, è invece di religione musulmana con una piccola percentuale che pratica la religione cristiana. La Capitale, da questo punto di vista è stata sede, fino al 1996, di molti centri, sale di preghiera, che svolgevano funzioni di “Moschee improvvisate”. Dal 1996, invece, nel Quartiere Parioli, si trova una grande moschea che risponde, senza dubbio, alle esigenze di migliaia di musulmani abitanti a Roma e provincia. La Moschea dei Parioli è anche un centro di cultura islamica, il più grande d’Europa. L’ edificio può, infatti, ospitare fino a 2 mila fedeli; mentre, l’atrio coperto ne può ospitare altri 3 mila. La struttura presenta al suo interno una biblioteca che custodisce una preziosa raccolta di circa 40 mila volumi. E’ possibile, inoltre, visitare la Moschea durante tutti i giorni della settimana tranne il Venerdì e la Domenica. Le visite sono guidate e ai visitatori è richiesto di vestirsi adeguatamente e di coprirsi il capo.
Le tradizioni sono l’altro elemento che fa da collante tra coloro che provengono dal “mondo arabo”. Dal matrimonio che rappresenta un avvenimento molto importante per la famiglia musulmana, esso viene, infatti, festeggiato con cerimonie che durano parecchi giorni, alle loro festività religiose, come per esempio la festa che conclude il digiuno del mese di Ramadam, oppure alla festa del Maulid El Nabawi, la nascita del Profeta Mohammed, o quella del Capodanno Rigira che secondo il calendario islamico cade nel giorno in cui il Profeta Mohammed lasciò la Mecca e andò alla Medina.
Come per tutte le comunità straniere presente sul territorio della Capitale anche quella araba oramai vive la sua quotidianità in un rapporto a “maglie strette” con la popolazione autoctona. E mentre i primi fanno oramai parte a tutti gli effetti del tessuto socio-economico della città i secondi hanno imparato nel corso del tempo a conoscere, a scoprire e a convivere con una cultura “altra” attraverso luoghi e strutture che sul territorio “offrono” fette di cultura, di tradizioni e di modelli di vita.
I primi, gli “arabi”, sono facilmente visibili, con i loro prodotti artigianali soprattutto nei mercati popolari come quelli di via Amedeo, vicino piazza Vittorio, e di Porta Portese, dove si può acquistare dalla bigiotteria, soprattutto d’argento, alle pietre che provengano dai loro paesi d’origine, ma anche gli inebrianti profumi dell’Oriente e i tessuti dai colori cangianti. Altro luogo di commercio è anche il mercatino del Moschea che si apre ogni Venerdì dopo la preghiera del “Tarauih”, la preghiera che si compie dopo la rottura del digiuno, la sera, durante il mese di Ramadan. In quest’ultimo mercato che si estende fino ai bordi della Moschea dei Parioli si possono trovare anche: profumi, muschio, gioielli, tappeti, volumi del Corano e libri culturali islamici, cassette di recitazione coranica e di canti religiosi e ancora cibo arabo e diversi tipi di dolci.
I secondi, gli autoctoni, possono avvicinarsi alla cultura e al mondo arabo attraverso diversi istituti e organismi che svolgono attività, ricerche, incontri o corsi di lingua araba.
C’è l’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente (ISMEO), in via Merulana 248 – Palazzo Brancaccio, tel 06.4874273 fax 06.4873138) che rappresenta il punto di riferimento per i ricercatori italiani che si occupano di archeologia, antropologia, storia, filosofia e teologia dell’Oriente. In seguito alla fusione con l’istituto Italo-Africano le sue competenze si sono estese anche all’Africa.
E poi c’è l’Accademia di Egitto (via Omero, 4, tel 06.32019076, fax 06.3201897), un ponte culturale tra l’antica civiltà egizia dei faraoni e la città eterna, e organizza mostre di pittura di artisti egiziani e italiani, concerti di musica popolare araba e musica classica e presentazione di libri.
E poi, ancora, la Capitale ospita l’Istituto culturale tunisino (via Dei Volsci 116), luogo di incontro per la comunità tunisina e araba residente a Roma. Nell’istituto si tengono dibattiti sui problemi dell’immigrazione, lezioni gratuite di arabo per i figli di immigrati, ma anche corsi di musica araba e di informatica. In occasione di feste nazionali tunisine e religiose, l’istituto organizza manifestazioni con musica e cibo arabo.
La stessa Università degli Studi “Roma Tre”, Facoltà di Lettere e Filosofia, prevede l’insegnamento di lingua e letteratura araba, triennale, all’interno del corso di laurea in Lingue e Comunicazione Internazionale che rientra nell’ambito di un progetto di scambio con l’Università al Manar di Tunisi, grazie al quale studenti italiani possono seguire gratuitamente un corso mensile di arabo a Tunisi, mentre studenti tunisini hanno la stessa opportunità con la lingua italiana a Roma.
Ma quale migliore presenza sul territorio se non quella che il “mondo arabo” può offrire alla popolazione romana attraverso la cucina dei suoi tanti e diversi ristoranti in cui è possibile mangiare piatti tipici. Particolarmente presenti sul territorio sono i ristoranti egiziani, siriani e marocchini. La cucina araba, infatti, con i suoi aromi che insaporiscono i piatti rappresenta un’eloquente ambasciatrice della cultura e della storia di questa regione del mondo. Le spezie, per esempio, rendono le cucine tradizionali dei paesi arabi molto raffinate e anche i piatti più semplici sono serviti con gesti conviviali. Senza dimenticare, comunque, che la cucina araba varia molto da un paese all’altro e anche da una città all’altra.
La cucina dei ristoranti maghrebini, per esempio, nel suo insieme è molto generosa nell’uso dell’anice, del carvi e del coriandolo; quella algerina nell’uso dell’aglio e dei sughi bianchi, mentre l’aroma dell’acqua di fiori d’arancio è aggiunta a dessert e dolci; e quella tunisina ha, per esempio, un condimento a base di peperoncino pestato e usa lo zafferano che dà un bel colore giallo vivo al riso.
Ma il Maghreb è conosciuto soprattutto per le sue tajin, carni cotte con verdure e ceci, e per il couscous.
Un cultura quella araba variegata, antica e nobile che vive sospesa tra passato e presente, tra paese di origine e paese di arrivo e tra una prima generazione di migranti e una seconda generazione che è nata a Roma, parla correttamente l’italiano con un forte accento “romano”, studia e lavora, e tutto questo mentre lo scrittore algerino Amara Lakhous con “Divorzio all’Islamica a Viale Marconi” offre uno spaccato di quotidianità “araba” difficile e variegata con personaggi, con dialoghi e proverbi popolari, che si fanno carico degli stereotipi, e delle contraddizioni arabe e italiane.