Un amore tra due sconosciuti nello spazio breve che divide le frontiere superprotette tra Nord e Sud del paese. Un traghettatore di anime e messaggi dall’una all’altra parte, e una ragazza, che lui, su ordine di agenti governativi, porta nel ricco sud del paese per raggiungere il suo ex, un disertore. E’ Poonsang il film coreano che ha partecipato al Festival di Roma 2011.
La storia di un popolo si può raccontare in tanti modi diversi: con immagini impresse su una pellicola cinematografica, con delle istantanee che “fermano” attimi di vita, e con parole scritte su pagine bianche. Ma un popolo, la sua cultura, e le sue tradizioni si possono anche vivere attraverso la quotidianità. Una quotidianità che tante volte parla e fa parlare di sé a chilometri di distanza dalla terra natia. E’ il caso di tutti quelle genti che hanno scelto l’Italia come loro seconda patria. E i coreani rientrano a tutti gli effetti in quell’universo di multi etnicità, e multiculturalità che ha avvicinato l’Italia e in particolare Roma nel corso del tempo ad altre capitali europee, quali Londra e Parigi.
Secondo i dati dell’Ufficio statistiche del Comune di Roma, aggiornati al 31 dicembre 2006, i coreani, arrivati nella Capitale dalla Corea del Sud, e che risultano regolarmente iscritti all’anagrafe del Comune sono 1.289.
Troppo spesso per i loro tratti somatici (capelli neri e lisci, occhi a mandorla e zigomi alti) i coreani, vengono scambiati per cinesi o giapponesi. D’altronde la loro terra d’origine, la penisola coreana, si estende in un tratto di mare compreso tra Cina e Giappone. Geograficamente questo piccolo lembo di terra è posizionato alla stessa latitudine della città di Enna in Sicilia.
Le prime presenze della comunità coreana nella Capitale risalgono agli inizi degli ’60 del secolo scorso. La maggior parte di loro erano e sono studenti anche se in tempi abbastanza recenti, una delle “presenze” coreane più in voga nella città è rappresentata dalle palestre di T’aegwŏndo, un’arte marziale molto simile al Karate giapponese. Nella città sono presenti, inoltre, con ristoranti tipici e negozi in cui vendono i prodotti della grande industria coreana, quali auto, computer, televisori, hi-fi, frigoriferi, e telefonini. E oggi si può tranquillamente affermare che non vi è casa o famiglia che non ha mai fatto uso di qualcosa che reca il marchio Made in Korea.
Se il numero dei coreani presenti a Roma per motivi di studio (musica, moda e arte) e di lavoro (esempio, Hyundai Italia) è andato aumentando nel tempo anche l’interesse dei romani per la coreanistica si è andato diffondendo tanto che a partire dal mese di novembre del 2000, è stato attivato anche un corso di lingua e letteratura coreana all’Università La Sapienza di Roma.
Interesse quello per la coreanistica che nel corso del tempo ha trovato “sbocchi” in tante altre novità. E’ di quest’estate, infatti, la presenza nella Capitale, al Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, di una mostra su “La carta coreana” conosciuta con il nome di hanji, prodotta principalmente con la pianta del “gelso della carta”. Questa carta è famosa per la sua qualità riconosciuta e apprezzata fin dai tempi più antichi nei paesi confinanti con la Corea, Cina e Giappone. È anche così strettamente collegata con la vita di ogni giorno dei coreani da essere considerata come uno dei “quattro amici necessari per lo studio” (la carta, il pennello per scrivere, l’inchiostro e il calamaio). Si sono così classificati circa 200 tipi diversi di hanji. Questa grande varietà di carta usata principalmente per scrivere e dipingere, veniva impiegata anche per creare articoli di uso comune e bellissimi oggetti d’arte che sono stati mostrati ai romani, appunto, durante la mostra al Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
Ma l’amore di Roma e dei romani per il popolo e le tradizioni della cultura coreana si sono mostrati anche attraverso l’impegno con cui il Museo Nazionale di Arte Orientale ha, per primo in Italia, inaugurato una sala dedicata alla Corea. E’ stato possibile realizzare questo spazio anche grazie al contributo della Korea Foundation. L’allestimento mostra una cinquantina di oggetti databili dalla metà del VII al XX secolo. Prevalentemente sculture buddhiste in bronzo, sigilli e alcuni altri manufatti in metallo, ceramiche con invetriature céladon, alcuni dipinti, libri e mobili, oltre ad un piccolo gruppo di oggetti di manifattura contemporaneadonati direttamente dagli artisti al Museo.
A Roma, esistono, comunque, dei luoghi dove la cultura coreana vive la sua quotidianità, a porta di mano di curiosi, studiosi e semplicemente neofiti. Uno di questi luoghi è la libreria Orientalia Kissaten, nuovo punto vendita della Libreria Orientale di via G.Giolitti, e che rappresenta un punto di riferimento per tutti gli studiosi e gli amanti delle civiltà e delle lingue dei paesi del Medio e dell’Estremo Oriente. Questo nuovo punto vendita della Libreria Orientalia è dedicato esclusivamente al Giappone e alla Corea e il catalogo offre un’accurata selezione di titoli italiani ed esteri per lo studio della lingua e della civiltà coreana.
Nella Capitale si trovano anche alcuni negozi che vendono prodotti alimentari coreani nonché ristoranti che “offrono” piatti tipici in cui abbondano verdure e pesce fresco. Onnipresente è il kimchi, il cavolo in salamoia fermentato e molto speziato. Tra i piatti più caratteristici vi sono inoltre il bibimbap, riso, verdura, spezie e carne o pesce; e il bulgogi, manzo macerato con una salsa di soia e cotto alla brace dopo essere stato condito con pepe e altre erbe. Alcuni di questi ristoranti sono specializzati nella cucina tipica della Corea del Sud il cui menù prevede vermicelli fritti in padella e la zuppa di pesce in salsa piccante.
Nella Capitale sono presenti anche dei luoghi di culto coreano quali la Chiesa Evangelica Coreana in via dei Quintili, la Chiesa Evangelica Coreana Nuova Vita in via Urbana e il Pontificio Collegio Coreano in via Degli Aldobrandeschi.
I coreani dicono che “La paura è sorella della vigliaccheria e cugina dell’umiltà”. E chi ha avuto modo di conoscere questo popolo anche attraverso i semplici gesti di vita quotidiana si è reso presto conto di trovarsi di fronte a un popolo fiero e indipendente, con un carattere estroverso e socievole. Le famiglie, i grandi gruppi familiari sono molto uniti e in caso di bisogno l’aiuto vicendevole è la norma.