“Pier Paolo Pasolini non è soltanto un profeta del passato, ma anche grande punto di riferimento per costruire un futuro diverso”. Ad affermare ciò è Giulio Milani, direttore editoriale di Transeuropa Edizioni, durante la presentazione della “Divina Mimesis” di Pasolini alla Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria. L’opera incompiuta del celebre scrittore viene adesso riproposta da Transeuropa in versione e-book, edizione cartacea e, sul sito di Inaudita, con contenuti extra (il documentario “Pasolini, l’incontro” e un confronto inedito fra Carla Benedetti e Antonio Tricomi sull’opera pasoliniana).
Proprio durante la decima edizione di “Più libri più liberi” c’è stato modo di parlare un po’ con Walter Siti, scrittore e uno dei massimi conoscitori di Pasolini, e con la Prof.ssa Carla Benedetti, autrice anche di “Pasolini contro Calvino: per una letteratura impura” (Bollati Boringhieri Editore).
Prof. Siti, in un’altra intervista ha dichiarato che nella “Divina Mimesis” è quasi più importante il gesto di pubblicare, rispetto al testo che viene pubblicato. Vuole, magari, aggiungere qualcosa a questa sua affermazione?
Pasolini voleva fare all’inizio qualcosa che assomigliasse al capolavoro di Dante, un modo anche per scappare dalla trappola del romanesco e da uno stile come quello utilizzato in “Ragazzi di vita” e, soprattutto, in “Una vita violenta”. Prima doveva essere una prostituta a doverlo guidare attraverso l’oltretomba. Poi ha pensato anche a Gramsci, ma era qualcosa di troppo marcatamente ideologico. Alla fine però sceglie un suo doppio, il Pasolini degli anni ’50. Si tratta del primo accenno ad una specie di scissione schizofrenica che poi dominerà “Petrolio”. Pasolini credeva di poter realizzare un qualcosa di magmatico, pluristilistico, invece è venuto fuori un lavoro poetico quasi come “Le ceneri di Gramsci”. E’ forse una vera e propria ammissione di impotenza, perché la nostalgia è divenuta più forte dell’ambizione, espressa negli anni ’60, di ritrarre così la realtà.
“La Divina Mimesis” si può considerare un commento a Dante?
No, non credo. L’opera di Pasolini è quasi una sorta di parodia della “Divina Commedia”, ma è anche un tentativo di imitare la “mimesi” dantesca, cioè la capacità di Dante di entrare nel linguaggio dei personaggi più diversi. L’accostamento a Dante è allora di tipo quasi goliardico. Pasolini era poi consapevole dell’impossibilità di finire la sua impresa. Si interrompe perché si trova davanti ad un magma, rispetto al quale lui non ha più degli schemi di spiegazione. Caduto il marxismo, infatti, lui non riesce più a spiegare la realtà contemporanea.
Pasolini è stato accusato di “estetismo”, lei che ne pensa?
Escludendo qualche accenno stilistico, Pasolini sente che la vita è troppo grande per essere rappresentata dall’arte. Questo è il motivo anche del suo passaggio al cinema, perché pensa che la macchina da presa possa essere più potente delle parole. Pure questo però si rivelerà essere utopia. La vita, per lui, è più grande dell’arte.
Prof.ssa Benedetti, se Dante è stato il primo poeta civile italiano, Pasolini è, invece, l’ultimo?
Non credo che Pasolini sia stato l’ultimo in nessun campo, perché questo significherebbe tradirlo. Pasolini non è stato sempre un poeta civile e ciò lo notiamo proprio con “La Divina Mimesis”, opera ideata fin dal 1963. La sua guida nell’oltretomba è lui stesso ma, cosa non di poco conto, quello degli anni ’50; quindi un Pasolini più giovane e amante dell’ideologia e del mito.
Qual’è, per lei, l’eredità di Pasolini, oggi?
L’eredità è la sua pienezza sentimentale che non si trova in altri intellettuali del tempo. Mi riferisco pure alla forma della pietà, del cordoglio che lui ha spesso utilizzato anche nei film.
Nel suo libro “Pasolini contro Calvino”, lei parla anche di letteratura impura. Cos’è l’impurità di Pasolini?
Pasolini, come lo stesso Dante, ha utilizzato un linguaggio capace di accogliere tutte le voci della realtà. Tuttavia, nella “Divina Mimesis” il Pasolini degli anni ’50, rivolgendosi al Pasolini di adesso, afferma: “Anziché allargare, dilaterei.” Ora però non si può più usare la stessa poetica, ma occorre “dilatare”, abbandonare la perfezione stilistica, incorporando qualcosa che è incompatibile allo stesso ambito poetico.
Come definirebbe il Pasolini poeta?
Pasolini nasce come poeta puro, tutto il suo tentativo è stato quello di rompere la sfera chiusa dell’estetico, e così ritorniamo al precedente discorso sul significato del “dilatare” che è, almeno per me, il rifiuto dell’edificio estetico a favore, invece, di una maggiore attenzione alla vita pratica. In conclusione, comunque, “Anziché allargare, dilaterei.” rimane un vero e proprio enigma, perché il poeta non fornisce reali spiegazioni.
Vero, Pasolini rimane e rimarrà sempre un rompicapo per tutti gli appassionati di letteratura e non solo. La sua fine tragica, del resto, è ancora un grande enigma. L’unica certezza è che, come ha detto Alberto Moravia, “quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta.”