Giulio Spadoni è sparito la mattina del 2 agosto 1976.
Era sceso in cantina a prendere il canotto di suo figlio, rimasto ad aspettarlo nella Fiat 127 assieme alla mamma, poi sarebbero andati tutti al mare a Ostia. Ma l’uomo non è più risalito. Di lui nessuna traccia, quasi fosse stato inghiottito dai lunghi cunicoli bui.
“Non si può sparire nel nulla” scrive Mauro Fabi nel suo ultimo romanzo intitolato La cantina (Avagliano Editore). Ma pur concordando con lui, chi legge ormai è già stato catturato dalla profondità della sua scrittura, che si tinge di giallo per poi trovare sfumature tutte proprie. Sul caso indaga l’ispettore Raimondi, uomo tormentato e intrigante, tuttavia sin dalle prime pagine si avverte che questa non è una sparizione come tante. Niente è come sembra in questo noir metropolitano, dove una Roma d’agosto, assolata e deserta, nasconde un ventre sotterraneo e sconosciuto. E proprio lì, nelle cantine umide di un casermone alla periferia sud della città, si cela il mistero. All’interno di scatoloni pieni di foto, libri e cose vecchie, fedeli testimoni di una vita che è già passato.
Con una scrittura sensibile e curata, Mauro Fabi tratteggia un chiaroscuro urbano dove luci e ombre dei personaggi animano l’interminabile commedia umana. “Il male – scrive l’autore – fa parte di noi come il senso estetico o il bisogno d’amore. Potrebbe fiorire ovunque, anche nei giardini più curati.”
Mauro Fabi, che giornata è il 2 agosto 1976 a Roma?
MF: E’ l’agosto della mia giovinezza, in una città che stava cambiando, diventando altro, è un momento preciso della mia vita, il passaggio all’età adulta e, contemporaneamente, il senso di isolamento e angoscia che solo una città come Roma, nelle sue nuove – allora – periferie, riusciva a trasmettere. Quartieri come Spinaceto, dove è ambientato il romanzo, avevano un qualcosa di metafisico che ancora oggi mi attrae. Diciamo che Roma è una città metafisica almeno dall’Eur a Spinaceto.
Nel suo romanzo colpisce molto il contrasto tra il volto solare della città e il suo intestino, un sottosuolo buio e misterioso. Cosa rappresenta la cantina?
MF: Mi ha sempre affascinato il fatto che questi enormi caseggiati sorti un po’ ovunque ai bordi della capitale negli anni Settanta, secondo il modello di Le Corbusier, per necessità dovessero racchiudere al di sotto della superficie visibile, un ipogeo. Ovvero un mondo speculare sotterraneo rappresentato da cunicoli e piccole porte in metallo dove le famiglie custodiscono o relegano tutto ciò che nei loro appartamenti è divenuto desueto, inutile, ingombrante. Tuttavia non si butta via: perché? Perché gli oggetti conservano qualcosa di noi nella loro patina – nel loro essere stati al nostro cospetto per molto tempo? Cosa dicono di noi gli oggetti che non usiamo più ma che conserviamo nelle nostre cantine?
Il commissario Raimondi è un investigatore acuto e motivato, ma allo stesso tempo lontano dai clichés della sua professione. Che uomo è?
MF: E’ un uomo stanco che arranca, un uomo profondamente solo che vive con angoscia e gelosia una relazione clandestina con una donna sposata. Un uomo che la immagina nelle braccia del legittimo marito e ne soffre, un uomo che sa che deve abbandonare ogni illusione nella sua vita.
I suoi personaggi sono molto caratterizzati dal punto di vista psicologico. C’è qualche autore in particolare che l’ha influenzata?
MF: Tutti influenzano tutti. Poi c’è uno spartiacque, appare colui che rivoluziona un modo di pensare o scrivere o fare arte, come Piero della Francesca o Alberto Burri. E da quel momento tutto cambia. Un autore che ho sempre amato è Georges Simenon, un maestro assoluto nel caratterizzare la psicologia dei suoi personaggi. Uno dei pochissimi scrittori che in mezza pagina ti getta già nella febbre della storia che sta raccontando. Per anni, molti anni, sono stato alla ricerca di un suo romanzo brutto, non riuscito: non l’ho mai trovato. Eppure ha scritto una infinità di libri…
Lei vive a Roma. La città le offre sempre spunti d’ispirazione?
MF: Roma oggi è qualcosa che non si può raccontare senza soffrire. Ho quasi sessant’anni e non avevo mai visto la città in queste condizioni di abbandono. Ogni volta che dovevo starne lontano per lavoro o altro sentivo sempre la voglia di tornarci dopo un po’. Ora andrei via, a vivere in campagna. Trovo che la natura e l’arte siano una delle soluzioni possibili per contrastare il declino, in ogni senso.
La cantina
di Mauro Fabi
Avagliano Editore
Mauro Fabi è nato a Roma, dove vive. Laureato in filosofia, è giornalista, scrittore e poeta. Ha collaborato con l’Unità e Le Monde Diplomatique. Attualmente dirige il magazine culturale Via Po del quotidiano nazionale Conquiste del lavoro.
Ha pubblicato i romanzi La meta di Luan (Mursia, 2000) e Il pontile (Nottetempo 2006) e le raccolte di poesia Il motore di vetro (Palomar, 2004) e Fiori in pericolo (Avagliano, 2007). In Francia sono state inoltre pubblicate le raccolte Le Domaine des morts (2010) e Tous ces gens qui meurent (2012).