Nel suo ultimo romanzo Il comandante del fiume (Casa Editrice 66THAND2ND), Ubah Cristina Ali Farah racconta una storia che parte dal personale e dall’oggi, e si muove verso un domani che varca molti confini.
Yabar ha diciotto anni, vive a Roma con la madre Zahra e si arrabbia quando gli chiedono da dove viene. A porsi la stessa domanda è però lui stesso, alla ricerca di un padre che lo ha abbandonato da piccolo. Figlio di genitori somali venuti in Italia per sfuggire alla guerra civile, Yabar ha anche una famiglia elettiva, composta da zia Rosa e dalla sorella Sissi. – Ma siamo seri -, riconosce, – nessuno guarda me e Sissi allo stesso modo, gli occhi della gente vedono le differenze. –
Sarà la diversità per prima evidenziata dai più, quella del colore della pelle, a far ricostruire a Yabar la propria storia, radicata in Somalia e trapiantata a Roma. Sulla strada tanti pregiudizi e la verità sul padre, inaspettata e sconvolgente.
Tra le pagine del romanzo si intravede la vita della stessa Cristina Ali Farah, italo-somala, vissuta a Mogadiscio fino all’età di tre anni e trasferitasi in Italia in seguito alla guerra civile nel 1991. L’autrice ha vinto numerosi premi italiani ed esteri ed ha esordito con Madre Piccola (Frassinelli, 2007).
Un’antica leggenda somala narra che a causa della scarsità d’acqua, gli abitanti di un villaggio chiesero a due saggi di far scorrere nelle loro terre un fiume. I due esaudirono il desiderio, ma con l’acqua arrivarono anche dei pericolosi coccodrilli, così fu nominato un comandante, di nome Yabar, capace di tenere a bada le bestie e consentire l’accesso alla riva. Si stabilisce così subito un parallelo tra il comandante del fiume e il protagonista, che condividono lo stesso nome e un compito, affrontare il bene e il male della vita, imprescindibili l’uno dall’altro.
Un altro fiume scorre lungo tutto il romanzo, il Tevere, che si dice nasconda tesori preziosi, ma sicuramente anche detriti e rifiuti, e sulle cui sponde si possono incontrare una donna anziana, una ragazza zingara, una coppia di fidanzati bengalesi o un signore africano. “Ma questa non è la savana, siamo a Roma, questo è il Tevere, lì c’è il gazometro”, osserva Yabar in una città dal volto multi-etnico, cercando di conciliare due appartenenze tra cui sembra dover scegliere ogni volta che gli viene chiesto da dove viene.
Il comandante del fiume è un romanzo sull’identità che non nasce dallo sguardo degli altri (“la gente si fa un sacco di idee quando mi vede”), ma da quello interiore, da una ricostruzione basata sulla memoria, i racconti, le radici (“solo se capisci da dove vieni imparerai a stare al mondo”). Scaturisce da un’elaborazione lenta e a volte dolorosa, mettendo insieme tanti pezzi diversi, come la foto strappata che Yabar ha del padre, ritagli che formeranno un quadro impensato e sorprendente. E fa incontrare la storia presente con quella di un passato coloniale dimenticato: “Noi cresciuti qui, figli di genitori eritrei, etiopi, somali, le ex colonie insomma. Gli italiani manco sanno che esistiamo.”
Il comandante del fiume
di Ubah Cristina Ali Farah
66THAND2ND