C’è un oceano tra Germano ed Emilio, e non solo in senso geografico. Uno abita a Roma e l’altro a Pittsburgh, ma se non si vedono dal funerale del padre, avvenuto quattro anni prima, è perché non è bastata la sua morte a seppellire tutta la loro rabbia e il loro dolore. Tra i due fratelli, la figura di quest’uomo, che ha tradito e abbandonato, ma era dotato di fascino, è più viva che mai.
Trama di notevole spessore, quella di Romana Petri in Figli dello stesso padre, edito da Longanesi e finalista al premio Strega 2013. Non solo per la sua struttura solida, costruita tramite un sapiente uso del dialogo, ma anche per l’intreccio di legami tra i personaggi.
“Fossero stati figli della stessa madre, sarebbe stato tutto diverso”, scrive l’autrice, consegnando al lettore uno scomodo quesito: essere figli della stessa madre rende fratelli, ma questo vale anche per il padre?
Dopo che per anni le vite dei protagonisti si sono allontanate sempre più, Germano, divenuto un artista di successo, invita all’inaugurazione della propria mostra nella capitale il fratello Emilio, per cui è la matematica ad essere arte. Preannunciato dalle nubi che hanno da sempre avvolto il loro rapporto, tra i due scoppierà il più violento dei temporali. Sarà il vento del passato che soffia sul presente, ma sarà soprattutto l’ultima occasione per scoprire chi sono diventati veramente, perché “non c’è niente di peggio che sentirsi in credito con la vita.”
Germano ed Emilio sono due fratelli divisi, o forse, loro malgrado, uniti, dal rancore e dal dolore. Il primo ritiene il secondo colpevole della fine del matrimonio dei suoi genitori, il secondo è alla continua ricerca di conquistare l’amore del fratello e del padre. In quella che dovrebbe essere l’età della maturità, uno continua a pensare che la causa della propria infelicità sia stata la nuova compagna del padre, l’altro a inseguire due modelli maschili dai quali verrebbe da prendere le distanze.
A intrappolarli è anche una visione negativa, e purtroppo piuttosto comune, verso le donne?
RP: Direi di no, questi sono uomini che non odiano le donne. Forse potrebbe sembrare così . Germano non si lega, ma in realtà è perché non vuole fare del male a nessuno, donne ed eventualmente figli, come invece ha fatto suo padre. Emilio, al contrario, si sposa appena trova la donna giusta ed è un padre e un marito esemplare. Diciamo che, a modo loro, cercano entrambi di essere all’opposto del padre. E questo li fa soffrire, perché nella vita bisognerebbe diventare ciò che siamo e non ciò che decidiamo di essere. La figura paterna li blocca, anche perché odiare un padre è difficile, impossibile quando, benché detestabile su più fronti, è un uomo colto e affascinante come Giovanni. Sono sempre a metà strada, da un lato lo ammirano, dall’altro vorrebbero eliminarlo. Ma i legami del sangue sono forti, a volte pesanti e distruttivi. In ogni caso non si cancellano e prima o poi bisogna farci i conti come, alla fine, avviene ad entrambi i fratelli.
Mentre i figli e il padre sembrano perdersi in un labirinto fatto di risentimento, dolore e rabbia, le due madri, Edda e Costanza, stringono addirittura amicizia, vanno avanti con le loro vite…
RP: Edda è addirittura grata a Costanza di averla liberata del “mostro”, non può che provare della riconoscenza per una donna che le ha messo su un piatto d’argento la possibilità di escludere dalla sua vita un uomo così posseduto dal male. Perché Giovanni non è cattivo, dal male è posseduto e, di conseguenza, nel male trascina chiunque gli sia accanto. Edda e Costanza hanno ben chiaro il loro ruolo di madri che devono tirare su i loro figli senza il padre. Non si sono mai odiate perché Edda è una donna pragmatica. Perché odiare la rivale che non conosciamo quando chi ci tradisce è nostro marito? Sono due donne diversissime, ma che affrontano lo stesso problema, alla fine, a forza di parlarne solidarizzano un po’-
Anche in un altro suo famoso romanzo, “Ovunque io sia”, protagoniste sono due donne e la bambina che nascerà. Maternità e paternità sono ancora a confronto. Come scrive in questo libro riguardo a Germano ed Emilio, “fossero stati figli della stessa madre, sarebbe stato tutto diverso”?
RP: Le donne sono delle grandi conciliatrici. Essere figli della stessa madre credo possa unire più facilmente. Intanto i figli della stessa madre vengono su insieme e non uno a Roma e l’altro a Milano. Vivere insieme fa diventare subito fratelli a tutti gli effetti. E poi le donne sanno distribuire il loro amore (materno) forse in modo più imparziale rispetto a un padre. Le donne lo sanno dentro il sangue che l’amore per i figli non si divide ma si moltiplica. Giovanni, invece, da quell’incapace che è, si sentirà sempre in colpa nei confronti di Germano, dunque inadempiente solo verso il figlio tradito e solo quest’ultimo tenterà inutilmente di risarcire per tutta la vita. Facendo finta che l’altro quasi non esiste.
Edda è molto critica verso il femminismo storico in Italia. Sostiene che le donne “hanno sopravvalutato l’intelligenza degli uomini. Si sono imbruttite quando erano giovani per essere apprezzate intellettualmente […] Guarda la condizione della donna nel nostro paese.” Vengono in mente le sue parole dopo l’ennesima vittoria di un uomo al premio Strega di quest’anno: “Questo non è un premio per donne, né giovani, né vecchie, E’ dura, fate il calcolo: considerate il numero degli Strega e vedrete quante donne hanno vinto.”
Lei vive molto anche all’estero. Cosa la colpisce maggiormente riguardo alle donne, in Italia?
RP: Le donne italiane sono le madri degli uomini italiani. Con questo avrei già detto tutto. Ce l’hanno nel sangue la dipendenza dal maschio, l’esserne una specie di appendice. E poi, nel nostro paese, non c’è solidarietà tra donne. Sembra che ci sia, ma non è autentica. Se una donna ti stima e ti fa del bene, stai pur certa che non fa il tuo stesso mestiere. Allora sì, la generosità può esistere ancora, perché non fa ombra. E questo è molto triste. Somiglia ancora un po’ troppo alla drammatica e umiliante lotta tra poveri.
Figli dello stesso padre
di Romana Petri
Edizioni Longanesi