Nessuno sa di noi art

Nessuno sa di noi

Nessuno sa di noi artNessuno sa di noi recita il titolo dell’ultimo romanzo di Simona Sparaco, edito da Giunti. Davvero nessuno, perché la scrittrice romana affronta un tema tabù, quello dell’aborto terapeutico. Lo fa svincolata da ogni preconcetto, con una sensibilità rara, capace di cogliere lo sgomento, i dubbi e le speranze della coppia protagonista.

Dopo anni di sesso a comando secondo il calendario dei giorni fertili, Luce e Pietro aspettano un bambino. Si chiamerà Lorenzo. Gli esami di routine li rassicurano, ma a gravidanza avanzata, un’ecografia rivela che Lorenzo è “troppo corto“. Non cresce più. La diagnosi è impietosa, e Luce e Pietro passano da un sogno tanto atteso a una realtà da incubo, in un paese che a differenza di altri, non permette alle di scegliere.
Si può donare la vita, ma si può dire lo stesso per la sopravvivenza?“, è una delle tante domande che si fa Luce. Le risposte riecheggiano nel silenzio, perché Nessuno sa di noi racconta di una scelta lacerante che le donne affrontano tra solitudine e senso di colpa, di un dolore incompreso dalla società.
Il romanzo di Simona Sparaco, già intervistata da EZ Rome in occasione della pubblicazione di Lovebook, parla di un dramma taciuto, di un dolore rimosso, ma anche di speranza e di forza. In Italia è il primo libro sull’argomento, tanto scomodo quanto necessario, come dimostra il grande successo che sta avendo.
Nessuno sa di noi è stato selezionato fra i dodici che si disputeranno la 67° edizione del Premio Strega 2013.

Sparaco Simona artLuce e Pietro sono una coppia affiatata. Quando arriva la gravidanza tanto desiderata, effettuano gli esami diagnostici prenatali. Va tutto bene. Sono felici. Poi alla ventinovesima settimana, lo shock: Luce scopre che come donna, la sua libertà di scelta in fatto di maternità in Italia ha un termine di scadenza. Perché?
SS: L’aborto terapeutico è un tabù e come tale si porta dietro i suoi corollari: l’ignoranza e il pregiudizio. In Italia il limite legale per interrompere è ventidue settimane perché di fatto qui da noi l’aborto terapeutico è un parto anticipato e oltre quella data il feto rischierebbe di sopravvivere. Parlo di rischio perché alla patologia si aggiungerebbero anche tutte le problematiche di una nascita prematura. In molti paesi dell’estero si pratica l’eutanasia fetale solo e soltanto se la patologia è considerata grave o incompatibile con la vita, e quindi non ci sono limiti di tempo in tal caso. E’ un dato di fatto che necessitava, a mio avviso, di essere quantomeno indagato.

La diagnosi è terribile: l’ecografia evidenzia una displasia scheletrica. Se nascesse, il bambino sarebbe condannato a una vita breve, fatta di interventi molto dolorosi. La coppia, allora, fa la scelta riservata solo a chi se lo può permettere e va all’estero. Devastata, Luce si chiede: “Si può donare la vita, ma si può dire lo stesso per la sopravvivenza?”
SS: Luce si pone questa domanda come molte altre prima di decidere che strada intraprendere. In quanto madre, desidera solo il meglio per il proprio bambino, ma questa diagnosi non può che proiettarla in un futuro molto diverso da quello che aveva immaginato. Il percorso di Luce è un percorso di coscienza, una situazione limite in grado di scardinare qualunque idea preconcetta si possa avere sulla vita, sulla morte e sull’amore. Non ci sono risposte giuste o sbagliate, solo domande.

L’aborto terapeutico, specialmente nel nostro paese, è un argomento tabù. Per lo più viene relegato tra la colpevolizzazione e la rimozione, definito da espressioni come “infanticidio” e “gravidanza andata male”. Come vivono le donne, ma anche gli uomini, questo dolore di cui non si può parlare?
SS: Ogni esperienza è a sé. Io ho cercato di raccontare la storia di Luce, il suo tormento, creare un personaggio che fosse credibile, raccontare una storia d’amore e di dolore, di buio e di luce, di smarrimento e di rinascita. Da quello che ho potuto intuire nella realtà però, dolori come questi segnano indelebilmente e il fatto di doverli chiudere in un cassetto, relegare in fretta al dimenticatoio di certo non aiuta.

La protagonista tiene una rubrica in una rivista, dove si confronta con le lettrici. Dopo la sua drammatica esperienza, scrive: “Siamo state dipinte Eve, Medee e Antigoni, ma solo noi conosciamo i misteri insiti nella natura materna, il senso ultimo e profondo delle nostre scelte.” Perché molte donne sanno fare scelte difficili, facendosi carico oltre che della responsabilità e della sofferenza, di un senso di colpa senza fine?
SS: Sul senso di colpa femminile, sui suoi rimandi letterari, filosofici e culturali si potrebbe parlare per ore. Il mio romanzo affronta anche questo tema, ma lo fa in relazione alla maternità e alla gravidanza. Le proiezioni e gli ideali che vengono disattesi dalla realtà e il loro carico di dubbi e interrogativi. E chiaramente anche il peso della responsabilità individuale e collettiva. Tutti temi che si prestano a interessanti spunti di riflessione, non a caso più volte ho paragonato “Nessuno sa di noi” a un lungo corridoio pieno di porte. Sta al lettore decidere quante aprirne e quali soglie oltrepassare.

Nessuno sa di noi
di Simona Sparaco
Giunti Editore

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