Dove finisce Roma art

Dove finisce Roma

Dove finisce Roma art“Mari’, te cercano pure a te, Mari’, cori. Ha paura di morire, con i suoi diciott’anni. Ha paura, adesso, del grido del corpo che prova dolore, e non trova riparo.”
Ma a lei, Ida all’anagrafe, in una Roma occupata dai tedeschi, entrare nella Resistenza è sempre sembrata l’unica cosa da fare, ed è diventata la staffetta partigiana Maria. Così, per sfuggire alla follia collettiva che va sotto il nome di guerra, è costretta a nascondersi nelle cave sotterranee della città, un tempo animate dalle urla gioiose dei bambini, e dove invece ora sente rimbombare il proprio respiro, appesantito dalla paura.

Sono questi i cunicoli attraverso cui Paola Soriga, nel suo romanzo d’esordio Dove finisce Roma, edito da Einaudi, accompagna il lettore in un luogo e in un tempo dove le vicende dei singoli raccontano la storia di un Paese. La narrazione, però, non è mai stretta nella claustrofobia, anzi, proprio negli orrori della guerra, coglie lo spirito della Resistenza, interpreta l’esigenza di una Liberazione che non può non arrivare.
E’ la Roma del bombardamento di San Lorenzo, del rastrellamento del Ghetto, delle fosse Ardeatine, delle file per il pane, del caffè di cicoria e dei pasti a rape ed acqua.
E’ la Roma di ieri: “Quanti ce ne sono, rimasti senza casa, e dunque senza niente, e madri che non sanno cosa dire ai propri figli.” Ma anche quella di domani: “Fuori si prepara una mattina chiara e senza nuvole, adesso l’alba in fondo alla Casilina è di un arancione che le riempirebbe il cuore, a Ida, se potesse vederla. Dentro la grotta intuisce solo che la notte è finita…

soriga paola artPaola, perché una giovane scrittrice come lei, classe 1979, decide di ambientare il proprio romanzo nel periodo della Resistenza?
Quella di Ida è una storia che mi è arrivata lentamente, senza che io avessi un’intenzione precisa. Ero partita dal quartiere, dalla borgata, ho letto dei che mi hanno trasmesso delle suggestioni riferite a quegli anni, alla particolarità della resistenza romana in alcune periferie. Ho iniziato a vedere che c’erano delle analogie, fra quel tempo e il mio, che mi avrebbero permesso di parlare di argomenti che mi stavano a cuore, come l’immigrazione, per esempio, la difficoltà del pensare liberamente in una società fortemente omologata, l’educazione sentimentale di una ragazza e la sua ricerca dell’indipendenza e della libertà.

In una Roma dilaniata dai bombardamenti e dalla fame, lei descrive l’impegno di Ida, la protagonista, nella Resistenza, i suoi rapporti con l’amica Rita, la sua vita nel quartiere di Centocelle. Com’è riuscita a immedesimarsi nell’intimo di una generazione di oltre cinquant’anni fa, a descriverne le paure e le speranze?
Marisa Ombra, nel suo libro Libere sempre, rivolgendosi alla destinataria dello scritto, una adolescente di oggi, scrive: «Ti stupirà sapere che avere 14 anni oggi non è tanto diverso da averli avuti allora». L’amore, l’amicizia, la difficoltà di crescere e capire come vivere, immagino non siano troppo diversi. Poi ho, ovviamente, letto molto, raccolto testimonianze, guardato documentari e film.

Ida dice che è entrata nella Resistenza perché “le era sempre sembrata l’unica cosa da fare”. La sua è un’adolescenza fatta di amici che spariscono nei rastrellamenti dei tedeschi, di bombardamenti che si portano via le case e le persone, di fame e di paura. Come sogna Ida la libertà?
Credo che il percorso di crescita di Ida, la sua ricerca della libertà, sia al contempo collettiva e personale. Collettiva è quella civile, la libertà di pensiero e di azione, negata dalla dittatura e dall’occupazione straniera. Personale è la ricerca di una libertà individuale, negata in gran parte in quanto donna.

Nel romanzo lei parla di un prima della guerra, quando le cave nel sottosuolo della capitale “erano posti di segreti e meraviglie” dove i bambini giocavano; e di un dopo, quando con la guerra diventano rifugi, luoghi di terrore e di morte, oppure fosse, come per le trecentotrentacinque vittime all’Ardeatina. E’ lì sotto che finisce Roma?
Per me il titolo è legato soprattutto all’idea di periferia, questi quartieri al limite, oltre i quali si stendono i campi, abitati, allora come oggi, da genti che arrivano da ogni angolo del mondo. È bella, comunque, l’idea che lei propone legata alle cave, che sono, per me, evocative e anche simboliche.

Dove finisce Roma
di Paola Soriga
Edizioni Einaudi

La foto dell’autrice è di Gianluca Vassallo

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