I nonni di Amatrice

Nel suo ultimo romanzo I nonni di Amatrice (Morellini Editore), Giorgio Rascelli consegna ai lettori il racconto gentile di un posto del cuore e di una stagione dell’anima.
Tra i vicoli di Rivo – frazione immaginaria di Amatrice – il piccolo Luigi trascorre le vacanze nella casa dei nonni Sorantò e Bettina. La memoria dell’autore, di cui sono molti gli spunti autobiografici, va a un mondo genuino e ancora carico di promesse, dove i nonni sono radici affettive e fonti di saggezza. In confronto, Roma, la città della ‹‹vita invernale››, appare lontana, quasi persa nel suo trambusto.
Il filo del ricordo sembra quasi spezzarsi molti anni dopo, nel 2016, quando Amatrice viene distrutta dal terremoto. Rascelli lo riannoda invece sapientemente, tessendo una storia tenera e commovente, dedicata a chi non ha mai conosciuto la località del reatino.

Professor Rascelli, se si dice Amatrice a cosa va la sua memoria?
GR: Al paese di mia madre, un paese dove in gioventù ho insegnato per cinque anni alla scuola media e a cui sono rimasto legato profondamente. Il paese delle mie estati da oltre trent’anni, vicino al mio paese natale, Poggio Cancelli. Un paese in cui conoscevo ed ero conosciuto da tutti, in cui era un piacere, per il carattere operoso e allegro degli abitanti, trascorrere le vacanze. I morti sotto le macerie erano tutti miei conoscenti, amici e, purtroppo, anche ex alunni. Per me Amatrice resterà il paese del ricordo e del dolore

Lei ha ambientato il suo romanzo in un paesino immaginario, Rivo. Perché?
GR: Ho ambientato il romanzo in un paesino immaginario, per non far torto a nessuno dei 69 paesini frazioni del comune di Amatrice e per essere più libero nell’impostare vicende di fantasia.

Il contrasto tra la vita a Roma e nel borgo è molto evidente nella storia. L’ha vissuto anche lei?
GR: Certo, vivendo dall’età di cinque anni ad Ostia e frequentando parenti stabiliti a Roma, ho potuto cogliere, ritornato per insegnare e poi per villeggiare, ad Amatrice, la differenza tra la vita di metropoli e la vita di paese. Il contrasto mi ha suggestionato e spero che suggestioni allo stesso modo i lettori.

Lei parla delle parole come di ‹‹perle racchiuse in conchiglie››. Cosa significa per lei narrare?  
GR: Sono stato definito uno scrittore sentimentale, definizione semplice, che mi piace. Per me narrare significa esprimere il proprio mondo interiore attraverso i sentimenti dei vari personaggi. Le vicende sono solo l’occasione per far emergere ciò che si pensa o si sente, ciò che si ha dentro. La scrittura come specchio ed esercizio dell’anima.

Poi, come lei scrive, “Amatrice è morta” nel terremoto del 2016. E’ riuscito a elaborare il lutto?
GR: Noi amatriciani (nativi e, come me, acquisiti) non riusciremo mai ad elaborare completamente il lutto. Il tempo aiuterà ma non lenirà del tutto il dolore. Ripenso ad alcuni miei alunni cinquantenni travolti dai crolli insieme ai loro familiari e il terremoto seguita a rivelarmi, al pari di tutte le sciagure, un’implacabilità inspiegabile e assurda. Come, in questi giorni, per gli alluvionati della Romagna.

I nonni di Amatrice
di Giorgio Rascelli
Morellini Editore

Giorgio Rascelli è nato nel 1949 a Poggio Cancelli (L’Aquila), ma da sempre risiede a Ostia.
Ha insegnato Lettere alla scuola media. Ha pubblicato, in collane di narrativa per ragazzi, Le acque rosse, SEI-Torino (Premio Bancarellino 1984, rimasto in catalogo SEI per circa venti anni), L’ultima Chernobil, A. Signorelli-Roma (secondo classificato al Bancarellino 1991), Professore di prima nomina, A. Signorelli-Roma, Lancillotto e la regina, SEI-Torino (Premio Selezione Lunigiana 1994) e Tristano e Isotta, SEI-Torino.

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